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La guerra in diretta. Intervista a Maria Cuffaro

   
È partito alla grande il primo appuntamento che ha inaugurato, presso il teatro comunale di Soverato, la rassegna  ideata e diretta da Raffaele Gaetano “Liberiamo la pace, tre inviate di guerra si raccontano”   ospite d’eccellenza la giornalista televisiva del Tg 3 Maria Cuffaro, che dettagliatamente ha tracciato la sua esperienza rispondendo a molteplici domande. Rassegna fortemente voluta da Wanda Ferro e che vedrà altri due appuntamenti su Catanzaro e Lamezia con altre due presenze giornalistiche femminili che attraverso la loro sensibilità proseguiranno i racconti sul loro vissuto: Tiziana Ferrario e Monica Maggioni. Un teatro gremito di studenti che con estremo interesse hanno ascoltato la testimonianza della Cuffaro. A introdurre il tutto  i saluti dell’amministrazione per voce del Presidente del Consiglio Sonia Munizzi e del sindaco  Leonardo Taverniti i quali delineano come Soverato sia sempre aperta a iniziative di alta valenza culturale, invitando inoltre alla pace, alla libertà, alla speranza in tempi cosi duri. Presenti inoltre Amoruso, Gualtieri e Riccio. Entrando nel clou della tematica e della giornata, moderata da Gaetano, tante le domande rivolte alla giornalista che in prima battuta asserisce quanto sia rischioso raccontare ciò che succede. “Il  ruolo del giornalista all’interno di un conflitto è verificare, controllare, esprimere il proprio punto di vista su ciò che riusciamo a vedere, capire, bisogna decodificare la realtà. La mancanza di comunicazione crea guerra e noi dobbiamo parlare alla pari con chi sta sul posto, ascoltare. Noi di Rai 3 abbiamo per tale motivo, rifiutato la scorta armata. Certo non è semplice vivere in condizioni di sicurezza precarie”.

Esiste la realtà giornalistica?

“No, esiste un punto di vista! Ognuno sul posto di guerra, vede, vive e percepisce situazioni, emozioni   diverse. La guerra è formata da tanti dettagli, come per esempio da bimbi orfani che per sopravvivere vendono organi e frammenti di chi non ce l’ ha fatta. È costellata anche da bugie. Il giornalista deve mantenere la sua credibilità. La guerra è il momento in cui non c’è più dialogo e si passa alla violenza, trasformando le persone in carnefici. Noi possiamo raccontare solo una parte, l’altra è taciuta”.

Una scelta coraggiosa quella di diventare inviata di guerra, cosa l’ ha spinta a seguire questa direzione?

“ Non è una scelta, ti ritrovi per varie strade, ti ritrovi nei posto nel momento del conflitto, dal punto di vista giornalistico vivi la storia mentre accade. Sono stata in Palestina, ho visto la guerra tra Serbi e Croati, sono stata in Iraq. Ho visto quando sono arrivati i marines a Baghdad, sono stata a Nassiriya subito dopo l’autobomba e sono rimasta per tutte le altre battaglie. Sono stata in anti paesi dove la guerra era in primo piano.  Ne vedi un pezzettino di storia perché non esiste che vedi tutto, in quanto il giornalista è spettatore di quello che gli accade accanto, però si ha l’ idea che può riportare in Italia le voci, le sensazioni ma anche le paure delle persone, che non diventano semplicemente numeri. Se parlo della guerra è una cosa astratta se dico invece che ho conosciuto donne che son dovute scappare perché magari si trovavano nel momento sbagliato e nel posto sbagliato e sono state violentate e sono fuggite andando in Sirya e ora sono di nuovo sotto attacco, quindi quando la storia diventa personale a quel punto ce la ricordiamo e capiamo quale può essere il dramma della guerra”.

Come l’ha cambiata e segnata questa esperienza?

“ Come tutte le esperienze. Noi siamo quel che  scegliamo di fare, quindi è chiaro che ti cambia perchè inizi a relativizzare ciò che accade qui e non ti arrabbi più per situazioni superflue. Quando vedi il volto di quello che viene definito un immigrato clandestino sai da dove vieni e magari si chiama Mohamed”.

C’è qualche episodio che l’ha maggiormente colpita?

“Ce ne sono tanti. Mi ha colpito il coraggio dell’interprete che avevo in Iran che nonostante fossimo controllate dal regime, abbiamo incontrato i ragazzi dell’ opposizione che organizzavano feste clandestine in cui si ascoltava musica rock e sapevano che se fossero stati scoperti dal ministero della censura,  rischiavano molto anche il carcere. Mi rimangono impressi, gli occhi stupiti, impauriti dopo le autobombe è come se improvvisamente si polverizzasse la vita di tutti, resti di cadavere ovunque, rimangono le urla dei soldati dopo che hanno sparato, rimangono tante immagini, tanti frammenti vivi che poi ti porti dietro e in qualche modo fanno anche compagnia”

Quali le maggiori difficoltà e i maggiori pericoli?

“Spostarsi da un posto all’altro.”

Quale lo stato d’animo che prevale sul posto di guerra?

“ E’ variabile, dipende quando ti senti sicura sei talmente felice di stare in un luogo sicuro che è una gioia che non provo qui in Italia, anche se nel Meridione questi concetti si comprendono meglio; è chiaro che la strada dall’ aeroporto fino a Baghdad si percorre con grande tensione,  perché non sai cosà può succedere, quindi bisogna sempre andare incontro a ciò che non conosci. Gli spostamenti incutono paura senz’altro. Spesso mi sono trovata nel bel mezzo di un conflitto in quel caso la paura è innegabile.

Che ruolo assumono la speranza e la cultura?

“ Un ruolo importante, in quanto aiutano a sopravvivere”.

Ha mai pensato di racchiudere in un libro queste sue toccanti e interessanti esperienze?

“ Si ma finora non mi è stato possibile per mancanza di tempo”.  Una giornata all’insegna di tanti spunti riflessivi e di tante realtà conosciute da tutti, ma su cui pochi in effetti si soffermano, com’è invece giusto che sia.

 Antonella Rubino - il Quotidiano della Calabria
 

   
   

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