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Suggestiva scoperta dello Storico Giuseppe Pisano
di Roberto Messina

   


Quello che si dice una scoperta. La ricerca dello storico soveratese Giuseppe Pisano (da leggere integralmente nel nuovo numero di “Calabria Letteraria”) acclara, documenti alla mano e come mai prima, il rapporto tra San Francesco di Paola e Cristoforo Colombo, e un probabile loro obiettivo comune: la Crociata, alle soglie del ‘500, contro i musulmani. Pisano mette in evidenza gli studi effettuati da eminenti colombisti, in particolare Ruggero Marino (“L’uomo che superò i confini del mondo”, Sperling & Kupfer) che parla di una “regia” vaticana e una “copertura politica” spagnola per la spedizione nel Nuovo continente. In merito ai finanziamenti del primo viaggio del navigatore genovese, si dà per assodato che fu l’opera di banchieri genovesi e fiorentini (non dei reali spagnoli) a farlo salpare il 3 agosto 1492 da Palos, assieme a 89 uomini (tra cui Anton Calabres, proveniente da Amantea). Il maggiore finanziatore è il pronipote di Papa Innocenzo VIII, Francesco Pinelli, che lo storico di Soverato, Giuseppe Pisano, ricorda imparentato con Battista Pinelli, Arcivescovo di Cosenza (1491-1495). I colombiani citano due avvenimenti storici come determinanti il proseguo del periglio colombiano: la battaglia di Otranto (1480) e la resa di Granada (1492). Il Santo di Paola - ricorda Pisano - preannuncia l’attacco dei turchi; e dispone l’intervento dei padri Bernardino Otranto e Jacques l’Espèrvier, grazie ai quali Ferdinando V costringe i Mori alla resa.

Prova dell’esistenza di connessioni tra San Francesco di Paola e Colombo, sarebbe poi la figura di Bernardo Boyl, vicario generale per la Spagna dell’Ordine dei Frati Minimi, che conosce Francesco a Tours nel 1486 e si ripresenta al suo cospetto nel 1494 di ritorno dal Nuovo Mondo: “Con l’evidenza - spiega lo storico Pisano - che Francesco fosse ben informato sul ruolo dell’Ammiraglio genevose e la sua grande scoperta”.

Fin qui i collegamenti concreti. Ma Pisano si spinge oltre, con un’ipotesi suggestiva: il tentativo di realizzare una Crociata contro l’Islam, con i più potenti uomini religiosi del tempo e lo stesso cattolicissimo Colombo che - come scrive lo storico Paolo Emilio Taviani - “affrontò il suo difficilissimo viaggio nella prospettiva mistica d’una missione provvidenziale... L’oro non soltanto strumento di ricchezza, ma di potenza per la Cristianità, mezzo contro i turchi per la riconquista del Santo Sepolcro...”.

Con i Papi di allora preoccupatissimi della minaccia islamica dalla caduta di Costantinopoli nel 1453, la Crociata è il comune denominatore della politica vaticana, da Niccolò V a Innocenzo VIII.

Lo storico Pisano pone a questo punto un interrogativo: perché il porto francese di La Rochelle, appartenuto ai Templari, e da dove due secoli prima i Cavalieri crociati pare avessero intrapreso segretamente la rotta per l’America, si chiama “Port des Minimi”? E perché lo stesso abito dell’Ordine dell’Eremita paolano assume la “forma dell’elmo e della corazza del Cavaliere medievale”?

Ma se il tema della Crociata, della liberazione del Santo Sepolcro, è idea fissa di Colombo, non meno lo sarebbe per Francesco, convinto “defensor fidei”, spinto a prodigarsi tra i potentati cristiani italiani ed europei proprio per l’avvio di una Crociata.

Lo storico soveratese Pisano riporta documenti e testimonianze (a suo dire trascurati da altri storici italiani) che porterebbero in questa direzione. In particolare, due lettere di Francesco a Simone di Alimena, duca di Montalto di Calabria e Viceré delle Puglie, suo amico e benefattore, nelle quali egli vaticina un’era di rigenerazione: “non potrà più essere al mondo niuno signore che non sia dell’Ordine della Sancta milizia dello Spiritu Sanctu. Porteranno il segno di Dio [la croce] vivo in petto”, e preannuncia un nuovo Ordine, “una nuova religione, e sarà l’ultima” che avrebbe sconfitto la “setta maomettana” .

Per avvalorare la sua suggestiva tesi, lo studioso soveratese aggiunge un’altra importante testimonianza di padre Giovanni Fiore da Cropani, massimo storico della Calabria seicentesca, che inequivocabilmente scrive come il Paolano “profetizzò nella Calabria una religione di Cavalieri per mettere a fondo l’Ottomano imperio...”.

Non si può non ammettere che, passate anche le celebrazioni del cinquecentesimo anno della morte di San Francesco di Paola, tale dotta e suggestiva argomentazione sia stata lasciata sul sfondo, e che ora possa favorire una ricostruzione biografica più completa e veritiera di questo grande uomo della Chiesa e della storia.

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Roberto Messina - Gazzetta del Sud, pag. Cultura, di Domenica 13 Marzo 2011 © Archivio: www.gazzettadelsud.it
 

   
   


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