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Del dramma dell’emigrazione, di quel destino cioè che ha costretto -
e, purtroppo, continua a costringere, sebbene in forme diverse -
molti calabresi a separarsi dai propri affetti e dalla terra natia,
dell’asprezza della lontananza, e soprattutto di quel «privilegio»
di cui godrebbero i calabresi che hanno deciso di restare a vivere
nel proprio paese o in regione, si parlerà domenica prossima a
Gagliato, durante un incontro (molto atteso) con uno dei maggiori
esponenti calabresi della letteratura antropologica. Si tratta di
Vito Teti, meridionalista di vaglia e docente Unical. L’autore,
chiamato a presentare il suo nuovo lavoro «Pietre di pane -
Un’antropologia del restare» (edito da QuodLibet, nella collana
Lavoro Critico), terrà una lectio magistralis sull’aspetto
socio-antropologico e culturale del fenomeno dell’emigrazione
calabrese.
Il dibattito (che sarà poi introdotto dal dott.
Vito Pirruccio, dirigente dell’Isit «Ettore Majorana» di Roccella
Jonica) ruoterà logicamente sui temi racchiusi in questa recente
fatica editoriale dell’antropologo Teti e quindi sui suoi viaggi
(intellettuali e reali) in oltreoceano, su quel suo lungo
andirivieni nei luoghi dell’emigrazione che gli ha consentito, nel
corso degli anni, di effettuare una sorta di psicoanalisi della
stanzialità e anche dell’etica della «restanza». In questo suo
saggio-racconto, infatti, Vito Teti compie un viaggio quasi
espiatorio in Canada, terra in cui emigrò (negli anni Cinquanta, da
San Nicola da Crissa) anche suo padre Stefano e dove peraltro ha
avuto modo d’incontrare più volte la comunità sannicolese.
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