Rubrica di Opinioni di Francesco Raspa

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Gli impedimenti dirimenti

  

 
Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo non si fece molto aspettare. Appena gli parve ora di poter, senza indiscrezione, presentarsi al curato, v’andò con lieta furia d’un uomo di vent’anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama.

Siamo alle prime pagine del secondo capitolo de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni. Don Abbondio ha già incontrato i bravi e promesso che quel matrimonio… non s’ha da fare, né domani, né mai.

Il problema è, dunque, come spiegarlo a Renzo senza dire di essere stato minacciato. Così, dopo avere fatto quasi finta di essersene dimenticato, infila una serie di scuse improbabili anche ad una persona semplice come Renzo, adducendo la mancata esecuzione di una “formalità”. Ad un certo punto il giovane perde la pazienza e sbotta: Ma mi spieghi una volta cos’è quest’altra formalità che s’ha a fare, come dice; e sarà subito fatta. E Don Abbondio: Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?

Che vuol che io sappia d’impedimenti? Risponde spazientito Renzo. Ed il curato: Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, , vis, ordo, ligamen, honestas. Si sis affinis…

Si piglia gioco di me?  Interruppe il giovine. Che vuol ch’io faccia del suo Latinorum?

Bene, questa premessa (rubata dalle belle pagine del Manzoni) sta ad indicare la natura del titolo di una rubrica di opinioni che curerò sul sito di Soveratoweb e che si intitolerà: Gli impedimenti dirimenti.

Gli Impedimenti dirimenti, come sottolineava Leone Gessi in una vecchia edizione del testo manzoniano, sono un “Termine giuridico che spiega i motivi che impediscono o rendono nullo un atto matrimoniale. In bocca a Don Abbondio sono chiacchiere per imbrogliare e tenere a bada Renzo”.

Da tempo l’amministratore del sito, l’ottimo Musmeci, mi aveva chiesto di curarne una. Ho tergiversato perché pensavo che fosse sufficiente scrivere ogni qual volta ne avessi avuto voglia. Adesso però penso sia necessario scrivere con continuità. Perché quello che vedo è il costituirsi di una oligarchia di sapienti che con arroganza pensa di spiegare le proprie verità a fronte delle sciocche convinzioni altrui. E, quel che è peggio, vedo degli amministratori che si coccolano questa oligarchia. Non si capisce bene se per amore o per timore.

E mi spiace anche per coloro che proveranno Un certo fastidio. Sono invitati a leggere altro.

D’altronde credo, a mia volta, di non essere l’unico a sentire altro fastidio per certa invadente sapienza, quasi che questa città sia divenuta una sorta di “specchio delle brame” nel quale continuamente si guarda e si compiace di se stesso il più bello del reame.

 Impedimenti dirimenti, un tentativo di controcultura e controinformazione verso chi, pensa di avere davanti degli sciocchi a cui raccontare qualunque cosa, tanto cosa mai capiremmo? La rubrica inizia oggi, Primo di Aprile, quasi voglia essere uno scherzo cui far partecipare tutto coloro che, del loro pensiero non vogliano farne costante autoglorificazione.

Se, questo articolo d’esordio mi è servito per presentare la rubrica e le motivazioni che mi hanno condotto a tenerla, nel successivo articolo, che anticipo fin d’ora,  proverò a spiegare perché parlo di Unità d’Italia. Con convinzione e orgoglio. E spiegherò perché non ho mai risposto al prof. Gennaro De Crescenzo, come chiestomi dal sig. Marco Montepaone, che nell’Agosto del 2010 aveva scritto un lungo articolo, quasi un saggio, sulla industrializzazione del Regno delle Due Sicilie. Non ho titoli, ma sono pur sempre, anche un insegnante di storia. 

 Francesco Raspa

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