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Elezioni comunali soveratesi: la mia generazione ha quasi perso!

   
Le elezioni amministrative soveratesi hanno già emesso un verdetto, prima ancora di essere celebrate, hanno detto che la mia generazione ha quasi perso! Non si intravede all’ orizzonte la possibilità per un soggetto che abbia un’ età compresa fra i trenta  e i quaranta anni, di recitare un ruolo politico di primo piano in città  e ciò indubbiamente, va ascritto alla manifesta incapacità della mia generazione di ritagliarsi un ruolo politico o anche sociale, non tanto perchè la stessa non annoveri energie positive e  individui talentuosi, bensì perchè è stata incontestabilmente decimata dall’ emigrazione. Non pochi sono i miei coetanei che hanno lasciato la città per non farvi più ritorno, che sono andati ad arricchire altre realtà, a realizzarsi laddove sono state offerte loro delle opportunità e che tuttavia, hanno avuto il demerito – a mio avviso – di dimenticare la terra di origine nella quale tornano sistematicamente per ergersi a censori della situazione,  per criticare e per instaurare banali paragoni con le realtà in cui risiedono. Nel peggiore dei casi c’è chi ha provato a realizzare una mutazione che si manifesta in cadenze nordiche, palesemente artefatte e addirittura chi assume toni anti - meridionali e specificatamente anti – calabresi. Non è che in passato l’ emigrazione non ci fosse, ma essa non recideva , i rapporti con la realtà d’ origine, anzi li rafforzava sull’ onda di una mai celata nostalgia. La mia generazione ha invece vissuto l’ emigrazione come distacco,  che si concretizza nella assoluta mancanza di volontà di assunzione di responsabilità nei confronti del paese natio. L’ emigrazione, tuttavia, da sola non basta a spiegare il quasi fallimento di una generazione che di certo non è stata aiutata a emergere dagli adulti; non so precisamente quali dinamiche abbiano portato a questo in casa del centro – destra , non essendo un esperto di quegli ambienti, ma posso dire che a sinistra ha giocato un ruolo determinante la generazione che ci ha preceduti, quella che ha fatto il sessantotto e che ha sempre coltivato l’ illusione di essere dotata dell’ eterna giovinezza e pertanto hanno assunto lo stile del giovanilismo che poteva permettersi di non aver bisogno dei giovani che  - secondo i loro parametri – non erano degni di dirsi tali , perché scattava il paragone con la loro generazione : noi non avevamo fatto la rivoluzione, non avevamo portato l’ eskimo, praticato il sesso libero, sfidato l’ autorità e quindi non avevamo diritto di parola se non per dire loro che avevano sempre ragione . Non hanno mai considerato il contesto storico assai differente in cui la mia generazione è cresciuta; non potevamo certo fare la rivoluzione per raggiungere quegli obiettivi che loro avevano già raggiunto e dei quali , grazie alle loro lotte , già noi godevamo e non potevamo lottare perché le donne potessero portare la minigonna , poiché tale diritto lo avevano già imposto; dovevamo forse proporre e lottare per la sciarpa al posto della minigonna? Per un abbattimento fisico dei genitori in nome del prosieguo della lotta contro l’ autoritarismo ? Non uno spazio, un pertugio, ci è stato lasciato e quando servivamo perché si potesse dire che a sinistra vi erano anche i giovani, ci candidavano, ma ci facevano la campagna contro! In tutto questo hanno avuto un ruolo di primo piano l’ ex sindaco Giovanni Maria Calabretta e il suo gruppo di ex fedelissimi ( poiché non ne vedo in giro ). Pensavano a una repubblica di ottimati , si erano forse ubriacati di Cicerone, ottimati sul piano morale e intellettuale, una repubblica di elite  da instaurare a Soverato, della quale non potevano far parte coloro che , dall’ esame delle loro  riunioni carbonare in casa di qualcuno degli adepti, non risultasse “ puro “ secondo i loro parametri; una sorta di laica inquisizione ha operato nel centro – sinistra al tempo del calabrettismo che ha visto protagonisti un gruppo di “ puritani” che come tali erano moralisti e come tutti i moralisti, profondamente ipocriti e soprattutto, conservatori. Pronti a tacciare di ignominia gli altri e a celare i loro difetti, i loro “ peccati “ politici.  il destino con loro, però , non era stato poi così crudele poiché gli aveva dato l’ opportunità di governare , poi di tornare in gioco e di riprovarci per ben due volte a riconquistare la città, ma entrambe le volte aveva riservato loro un’ amara sconfitta e chiunque, a quel punto, avrebbe capito che none era il caso di continua re a sfidare il destino, che non bastava più portare il pullover sulle spalle o il jeans sdrucito o il capello folto e scarmigliato, per continuare a incarnare il nuovo che avanza; era giunto il momento di piantare un bel chiodo nel muro e di appenderci l’ eskimo; tuttavia, potevano ancora fare qualcosa di utile e di nobile i calabrettiani eletti in minoranza, potevano dimettersi e dare la possibilità a qualcuno meno arrugginito di rappresentare il punto di riferimento per il futuro del centro sinistra, qualcuno su cui aprire il cantiere della ricostruzione e con cinque anni di esperienza, non ci sarebbe stato candidato a sindaco da inventare, perché fra i consiglieri qualcuno avrebbe avuto  la possibilità di convogliare le diverse anime del centro sinistra e proporsi alla gente come un candidato credibile, ma non ci hanno pensato un attimo , hanno continuato a coltivare l’ illusione dell’ eterna giovinezza che avrebbe consentito loro di candidarsi ancora dopo cinque anni, almeno alcuni , mentre altri , pur consapevoli di vivere la fase finale di una parabola già cominciata da tempo, hanno preferito trascinarsi fra i banchi del consiglio,pur di non lasciare spazio al nuovo che li avrebbe tagliati fuori , perché consapevole che il loro modo di fare politica era stato fallimentare; cinque anni di non opposizione, di incapacità di smuovere le coscienze, di farsi ascoltare dalla gente, di indignare la cittadinanza anche davanti agli scempi che l’amministrazione, in alcuni casi, ha combinato. Del resto non poteva essere diversamente, perché senza un partito alle spalle è difficile fare opposizione, Calabretta ha tentato l’ ultimo sussulto, per la seconda volta si è candidato alle regionali e per la seconda volta ne è uscito sconfitto; forse a quel punto avrà compreso il fallimento. Oggi , è semplicemente ridicolo che alcuni di quei protagonisti lancino l’ idea di una partecipazione alle prossime amministrative ed è ipocrita che si richiamino ai giovani; loro che li hanno allontanati, emarginati, affossati, che gli hanno chiuso tutti gli spazi e per fare l’ ennesima lista civica, magari mediante una darwiniana selezione; se ciò dovesse accadere , mi auguro che si registri l’ ennesima disfatta, che giunga una Waterloo per quel tipo di sinistra che ha contribuito alla sconfitta della mia generazione, cha ha utilizzato i giovani per metterli in vetrina , ma ai quali non ha dato alcuna fiducia, nessuno spazio che non fosse striminzito e subalterno.

Nel centro – destra , alle scorse elezioni comunali , si è tentata un ‘ operazione simile , in gran parte riuscita , ma anche in quel contesto non mi pare che i giovani abbiano brillato, pur avendo avuto a loro disposizione delle opportunità , perché di spazi gliene sono stati dati, ma spesso più che i giovani sono emersi i “Velini” che ci hanno proposto qualche “ balletto “ sulle note dei luoghi comuni più triti, delle analisi più superficiali, degli opportunismi più bassi, del servilismo più docile, del pressappochismo più pacchiano, ma soprattutto, ci hanno dimostrato come si può essere giovani e assolutamente spenti,  privi di senso critico, incapaci di prendere una posizione che fosse il frutto di un’ elaborazione originale, personale. Una proposta ,una, di un giovane , che abbia inciso sulla città, sulle vicende della comunità , che abbia rappresentato qualcosa di duraturo, di “ rivoluzionario” ; qualcuno è in grado di citarne una ?

Eppure , costoro rappresentano quel “ Quasi” di cui parlo sin dal titolo di questo articolo, perché non è detto che nel declino incipiente della politica Soveratese, qualcuno di loro non possa trovarsi a recitare un ruolo da protagonista, ciò non ribalterebbe la situazione, la mia generazione ha comunque perso perché il meglio di sè non lo ha mai espresso, anzi, forse  ha dato sfoggio del peggio, ma quel “ quasi “ lo voglio comunque tenere in piedi, perché non si sa mai, magari qualcuno dei mie i coetanei , di quelli validi e ce ne sono, potrebbe avere un colpo di testa , o di genio e tornare a occuparsi della sua città, penso a Francesco Sinopoli, a Salvatore Nisticò, a Giuseppe Tropea , Tato Munizzi, Bruno Maida, Enrico Limardo, Carlo Curatola, Teresa Piattelli, Marica Casalinuovo e tanti altri che non cito per motivi di spazio e per deficit di memoria; non si tratta di politici di professione, ma di persone che hanno dimostrato di avere delle qualità e del buon senso che tanto servirebbe in questa città che spesso elegge invasati e visionari , picari e fanfaroni, narcisi e marinisti.  Io, per me,  ci ho provato , per ben due volte , sempre dalla stessa parte , perché sono nato e morirò stando da una parte sola, ma ho dovuto combattere contro i miei compagni sessantottini e comunque, ho perso e ho piantato un bel chiodo nel muro, non ci ho appeso l’ eskimo, che non ho mai indossato, ma le mie illusioni e le mie velleità e ho lasciato e lascerò spazio ad altri, non ci ho ancora appeso quel “ quasi” che rappresenta l’ irrazionale e tuttavia intramontabile speranza.

 Antonio Pellegrino

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