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Le parole sono importanti: se le “misure di austerità” diventano “riforme”
di Pietro Castelli Gattinara e Caterina Froio*

*Dottorandi di ricerca in scienze politiche e sociali presso l’Istituto Universitario Europeo, Firenze

   
“Le parole sono importanti!” è una delle più citate frasi del cinema italiano. Le parole sono importanti perché la scelta di una determinata definizione di un fenomeno sociale, politico o economico, è al contempo caratterizzazione, descrizione, attribuzione di significato e interpretazione. Lo stessa realtà può essere descritta e riportata in infiniti modi, ed è proprio questa molteplicità di visioni che garantisce il pluralismo e la varietà della realtà descritta dai media. In breve, le parole sono importanti perché ogni parola ha un suo senso, collegato ad una specifica interpretazione dei fenomeni reali.
Se le parole hanno un senso, quindi, vale la pena di analizzare il modo in cui i giornali italiani stanno descrivendo la manovra approvata ieri sera dal Consiglio dei Ministri. Di che cosa stiamo parlando, esattamente? La risposta è molto semplice, stiamo parlando di un pacchetto di riforme che il governo italiano è costretto ad approvare per le pressioni congiunte di mercati internazionali e istituzioni europee. Esattamente quanto è già successo, e continua a succedere, in Grecia, in Spagna, in Irlanda... Stiamo parlando delle ormai famigerate misure di austerità invocate a gran voce dai governi francese e tedesco, riproposte ed appoggiate da Barroso e Van Rompuy, difese dal premier Greco Papandreou e adottate perfino dall’ex primo ministro socialista Zapatero.
Leggendo le prime pagine dei giornali italiani di oggi, tuttavia, ci si trova di fronte ad una realtà completamente diversa. Le misure di austerità sono scomparse, mentre leggiamo di un sobrio, necessario e inevitabile pacchetto di riforme strutturali. Da un punto di vista terminologico e lessicale, c’è un evidente tentativo di legittimare ciò che nel caso di altri paesi PIIGS, o in tempi di minore omogenizzazione politica (come durante l’agonia dell’ultimo governo Berlusconi), non si esitava a descrivere per quello che era: la trasformazione in legge di un diktat dei mercati, della BCE, del FMI, dell’Europa e del cancelliere tedesco Angela Merkel. Per valutare la misura di questa mistificazione terminologica, basta giustapporre i quotidiani di oggi a quelli di qualche settimana fa che riportavano la situazione politica in Grecia e in Spagna: il riferimento alle “misure di austerità” è scomparso, trasformandosi in “Riforme”, “Manovre di risanamento” o ancor più sensazionali “pacchetti salva Italia”. Astraendosi dal contesto giornalistico italiano, tuttavia, ci si ritrova di fronte alla durezza della realtà. La dimostrazione della totale identicità tra quanto sta approvando il governo Monti e quanto è accaduto negli altri paesi al centro della crisi economica, emerge con chiarezza dalle parole dei quotidiani d’oltralpe, d’oltremanica, d’oltreoceano. Senza alcuna sobrietà, senza paura di generare panico, senza curarsi dell’attenzione lessicale dei nostri tecnici prestati alla politica, i quotidiani stranieri definiscono austerity measures sia quelle approvate dal governo Monti, sia quelle approvate nei mesi scorsi in Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda. La logica di tale scelta è stringente e ineludibile: sono la stessa cosa, perché dargli nomi diversi?
Uno sguardo attento e critico alla rassegna stampa internazionale di Domenica 4 e Lunedì 5 Dicembre ci ha imposto questa riflessione. Al centro dell’attenzione dei principali giornali italiani, europei e americani ci sono le stesse questioni: le misure preparate - e in via di adozione - dal Governo Monti tra cui la “riforma delle pensioni”, la riforma fiscale, i sacrifici e le conseguenti (e incomprensibili) lacrime del Ministro Fornero. Quello che cambia è come sono riportate queste notizie. Il che comporta, inevitabilmente, una differenza in termini di come l’opinione pubblica italiana e quella internazionale hanno ricevuto la stessa notizia.
Queste considerazioni sono sembrate, questa volta si, inevitabili, quando ieri sera abbiamo confrontato le prime pagine della BBC, del Wall Street Journal, di Le Monde, di The Guardian e di La Repubblica, de Il Giornale, L’Unità, Il Manifesto, la Padania e La Stampa. L’operato del Governo Monti è presentato in modo sensibilmente diverso in Italia e all’estero. La Repubblica titolava “La manovra: stretta pensioni, Irpef immutata” e il Corriere della Sera rilanciava “Stretta pensioni. Supertassa sulle case. Niente aumenti Irpef, supertagli alla politica”, o ancora La Stampa: “Ecco il decreto ‘salva Italia’, pensioni, iva, tagli alla politica, casa. Tutti i provvedimenti punto per punto”, L’Unità: “Non cambia l’Irpef, torna l’Ici e c’è stretta alle pensioni”. Come se si parlasse di qualcosa d’altro, la stampa internazionale parlava molto apertamente di “misure di austerità”. Infatti, Le Monde scriveva: «Le gouvernement italien adopte un nouveau plan d’austerité”, il Guardian : « Italian cabinet prepares to adopt austerity measures », la BBC : « New Italy austerity plans agreed », il Wall Street Journal : « Monti unveils austerity plans».
La stampa italiana preferisce fare ricorso alla sineddoche, parlando della parte per il tutto (le pensioni, o l’Irpef anziché le misure di austerità), una scelta che inevitabilmente implica la decontestualizzazione dell’operato del Governo Monti da eventi internazionali quali la crisi finanziaria, il collasso del sistema-Euro e lo strapotere dei governi francese e tedesco. Questa strategia, che gli studiosi di scienze sociali chiamano “framing” (secondo Lakoff il processo per il quale si propone una confezione di un elemento di retorica in modo da incoraggiare certe interpretazioni e scoraggiarne altre), conferisce alle misure di austerità e agli eventi ad esse collegati un senso assai diverso rispetto a quello tragico e di inesorabilità che era stato attribuito agli stessi eventi nel caso della Grecia, dell’Irlanda o della Spagna. È un processo di decontestualizzazione della realtà italiana dalla crisi finanziaria internazionale, e va ben al di là della “semplice” inesistenza (o scomparsa) del termine “misure di austerità”. È una trasformazione di una interpretazione “nel contesto” in una visione asettica, come dimostra il fatto che nessuno degli articoli italiani sopracitati faccia riferimento alla pressione dell’Unione Europea o alla crisi dell’Euro, come invece accade in modo sistematico nella stampa internazionale.
Se come Wittgenstein diceva il linguaggio è il mediatore (medium) della costruzione della realtà, allora quello che la stampa italiana sembra cercare di ottenere attraverso un utilizzo selettivo del linguaggio è di presentare la realtà diversamente da quella che è. Da questa scelta dipende la fondamentale diversità da come la medesima situazione è descritta e interpretata all’estero. Non solo. La stessa realtà è diversa se è descritta per noi o per i nostri compagni di viaggio nella crisi. Siamo spietati, empatici, critici e esigenti quando si tratta di greci e irlandesi. Siamo asettici, legittimisti e acritici quando si tratta di casa nostra. Le misure di austerità non sono semplici riforme o manovre. Non si riassumono nell’ “aumento delle tasse”, o nel semplice “aumento dell’età pensionabile”. Fanno parte di un sedicente “piano di emergenza” che le elite economico-finanziarie (più che politiche) europee hanno deciso senza alcuna consultazione democratica. Chiamare le cose con il loro nome sarebbe un buon inizio per cercare di capire cosa sta succedendo in Italia e, forse, come andrà a finire.

 Pietro Castelli Gattinara e Caterina Froio
 

   
   

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