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Intervista a Domenico Barbaro, psichiatra e psicoterapeuta, ex direttore del Sert Isernia-Venafro
Se il Mondo non cambia …
Dalla tragica cultura dell’onnipotenza ai valori salvifici della semplicità e della speranza

   


Riproponiamo l’interessante intervista fatta dal giornalista Domenico Lanciano di Badolato (CZ) al dottore Domenico Barbaro (originario di Platì RC,  ma residente in Isernia), pubblicata nell’intera pagina 8 di lunedì 6 maggio 2013 da “Il Quotidiano del Molise”. In tale intervista Barbaro fa riferimento ai valori calabresi della sua infanzia e sulla copertina del suo nuovo libro evidenzia la foto di Platì assieme a quella di Isernia. Eccone  il testo integrale.

Dottor Barbaro, è fresco di stampa il suo nuovo libro “Se Giulio non cambia…”.  Di che tratta?

Giulio è un ragazzo molisano caduto nel tragico gioco della tossicodipendenza. La sua avventurosa adolescenza è segnata da una successione di eventi e drammi su cui domina il rassegnato monito della nonna: “-Se Giulio non cambia….” Una storia che decorre parallela ad un’altra lontana storia, quella di un ragazzo calabrese che costruisce il proprio futuro in un’atmosfera profondamente diversa. In questo parallelismo c’è la ricerca non tanto celata, anzi dichiarata apertamente, di quali fattori abbiano connotato le due così diversificate culture e i loro destini. Uno sforzo, insomma, per capire i motivi di questa deriva generazionale di oggi. Un secondo messaggio riguarda la lettura delle vicende umane. C’è un senso in tutte le storie personali, un senso nascosto che spesso può essere scoperto solo se si ha la capacità di voltarsi dietro in uno sguardo più complessivo e meno miope.

Parafrasando il titolo del libro, perché nella prefazione lancia il monito: “Se il Mondo non cambia…” ?

C’è oggi un profondo, diffuso desiderio che avvenga un cambiamento nel Mondo. Non esiste solo una deriva generazionale. C’è una deriva sociale mondiale. C’è una crisi economica dettata da un mercato senza regole, molto attento all’esigenza di pochi e poco all’indigenza di molti. C’è una crisi di valori legata ad una cultura dell’onnipotenza entro cui l’uomo assieme alla sua fantasia di poter dominare tutto ritrova l’angoscia dei suoi effettivi limiti. In fondo la droga è semplicemente la figlia di questa cultura positivista: il piacere al di là e al di sopra degli eventi esistenziali. “Se il Mondo non cambia…” non è un’altra storia rispetto a “Se Giulio non cambia…”. Contrariamente a quanto esprimo con ironia nella prefazione. Perché la storia del Mondo è la storia di ciascuno di noi che si interseca inevitabilmente con la storia degli altri.

Che cosa è la cultura dell’onnipotenza e come se ne esce?

La cultura dell’onnipotenza nasce appunto dal sentimento di onnipotenza che è cresciuto a dismisura nell’Io profondo dell’uomo contemporaneo in ragione delle sue conquiste tecnologiche. La scoperta del genoma umano, la fecondazione in vitro, la rivoluzione nella comunicazione, il conseguente processo di globalizzazione sono aspetti che hanno inciso in maniera determinante a dare all’uomo la suggestione delle sue capacità senza limiti. Un semplice messaggio pubblicitario: “Vivere senza confini” è penetrato in modo subdolo nella psiche collettiva facendo spesso perdere a ciascuno la propria identità, la dimensione umana dell’esistere, che è doloroso confronto con l’alterità. Qui sta il senso di smarrimento che ha investito l’uomo contemporaneo. Non è facile uscire da questo incredibile equivoco. E’ come per il tossicodipendente uscire dalla sua malattia. Scendere i gradini di questa folle e disperata visione dell’esistenza.

Come vede il futuro delle giovani generazioni?

Vedo che sono appunto i giovani che devono evitare i rischi di questa fuga in avanti. Vedo il grosso pericolo di persistere in una modalità di comunicare, e quindi di relazionarsi, essenzialmente virtuale, sottraendo spazio ai sentimenti ed alle emozioni, all’incontro fisico con le sue potenzialità espressive. Vedo una diffusa incapacità di tollerare le frustrazioni in ragione di quel sentimento di onnipotenza di un Super-Io dilatato ed ipertrofico in contrapposizione ad un Io fragile che si esprime con la paura e l’angoscia di perdere, e perciò tende a nascondersi nella massa omologandosi perfino nell’aspetto fisico e nell’abbigliamento, fino al punto di smarrire la propria identità. Nel futuro dei giovani deve esserci la capacità di prendere coscienza di questa deriva (che è anche deriva etica) e di ribellarsi recuperando quella freschezza e semplicità tipicamente francescane in una dimensione più umana dell’esistenza. Papa Francesco docet. Non bisogna avere paura di mostrare al mondo la propria fragilità. Spesso invece è la propria fragilità a far paura, a motivo delle mancate o perdute certezze interiori. 

Nel 1998 aveva già pubblicato un libro dedicato in particolare ai giovani, dalla nascita del Sert di Isernia-Venafro e ai primi gravi casi di droga nella nostra Provincia… 

Ho inteso allora scrivere “Da un Capodanno all’altro” un libro-documento sul fenomeno-droga in provincia per far conoscere alla nostra comunità questo processo partito da una sostanziale condizione di immunità dal fenomeno fino all’evidente scompenso con l’inarrestabile ed irreversibile inondazione. La volontà di svegliare le coscienze, evocando almeno qualche doveroso sentimento di colpa. Non un atto di accusa, no, ma l’assunzione di una responsabilità collettiva sì. 

Lei dal 2007 è in pensione. Ma qual’è, adesso, dopo questi primi decenni, la situazione-droga nel nostro territorio 

Il dato è sconfortante. Oltre alla crescente diffusione c’è un viraggio evidente verso le sostanze ad effetto psico-stimolante e verso l’alcol. E’ una mia personale percezione non trovandomi più a lavorare sul campo. Sarebbe utile istituire un osservatorio epidemiologico nella nostra realtà molisana per avere dei dati obiettivi e costruire una progettazione adeguata di possibili interventi. 

Come mai ha scelto di essere medico-psichiatra e psicoterapeuta? 

Non è stata una mia scelta. All’inizio l’ho subita. Poi ho capito che rispondeva pienamente ad una mia congenita predisposizione. Perciò continuo a fare lo psichiatra anche oggi. E mi sento di farlo con passione.

La depressione è una malattia ormai ampiamente diffusa anche da noi… 

Mi sono trovato spesso a dire che la nostra realtà, assolutamente periferica e marginale, è divenuta “l’ombelico del mondo” grazie agli strumenti mediatici. E’ una finestra aperta sul mondo, perché dal paese più sperduto si può ormai accedere ad internet ed esserne pienamente coinvolti. Questa partecipazione alla realtà del web ha mediato anche tutto ciò che oggi il mondo contiene di positivo e negativo. Il progresso tecnologico ha un suo costo che si esprime anche in termini psicologici ed emozionali. La cultura dell’onnipotenza si è diffusa anche nelle nostre campagne e con essa è cresciuta l’ansia della competizione e l’angoscia della propria inadeguatezza a reggere le richieste esigenti del liberismo incontrollato e generalizzato. Questo meccanismo psicodinamico genera sicuramente sconforto e depressione. 

Non c’è due senza tre. Pensa di pubblicare un terzo libro, frutto della sua più recente esperienza professionale? 

Troppo presto per pensarci, ma confesso che nell’esperienza di uno psichiatra ci sono momenti indicibili da poter raccontare e messaggi forti da poter proporre. Il problema vero è che bisognerebbe opporre alla cultura contemporanea dell’onnipotenza una nuova psico-pedagogia sociale che passi attraverso il recupero del senso del limite e del doloroso essere-insieme-nel-mondo. Ecco, questo tema mi piacerebbe sviluppare in futuro. E’ uno dei temi obbligati di un percorso psicoterapico per molti pazienti di oggi..

Come mai lei che è calabrese ha messo radici in Molise?...

Anche questa una circostanza assolutamente casuale. Ma ho trovato una piena rispondenza tra le mie vecchie radici e quelle che ho messo in Molise. In fondo, la nonna di Giulio somigliava molto alla mia nonna. E’ il cambio generazionale che ha fatto franare valori ed ideali. Ormai questa è la mia terra di adozione, cui mi sento molto legato. Qui ho anche voluto fossero sepolti i miei genitori. Naturalmente, continuo ad avere sempre la Calabria nel cuore. 

Lei si è impegnato molto anche in politica e nel sociale …

E’ vero. Ho considerato questa cosa un giusto corollario alla mia attività professionale. Non potevo assistere al dramma di tanti giovani tossicodipendenti senza avvertire in me la necessità di promuovere un impegno nel sociale tra le fasce giovanili. Particolarmente la politica l’ho considerata sempre come uno dei  valori da recuperare. Ma non la politica che si agita davanti ai nostri occhi. No. La politica come servizio al bene comune, e perciò valore fondante di una società più giusta e a dimensione umana, e, se si vuole, valore profondamente cristiano, se la si giudica come il più alto esercizio di carità, come affermava Paolo VI. E’ corretto aggiungere a questo anche il valore del volontariato. Spesso quando si dà agli altri si finisce di ricevere più di quanto si è dato. Ricordo le parole di un ragazzo utente del Sert che mi confessava di riuscire a resistere al richiamo dell’eroina solo quando aveva la possibilità di aiutare qualche suo amico in difficoltà. Sentiva di dover esercitare al meglio la sua vocazione alla solidarietà per poter risolvere il suo problema personale. Sono passati parecchi anni e quel ragazzo è rimasto ancora oggi in Comunità ad aiutare da Operatore gli altri. Ha finito appunto con il riprodurre la storia di Giulio.

In conclusione, quale messaggio intende rivolgere alla società e, in particolare, ai giovani? 

Vorrei che questa mia modesta pubblicazione giungesse tra le mani di tanti giovani di oggi. Ho raccontato la mia e la loro storia. Certamente non mi sento di essere alla ricerca di un successo editoriale. No. Ho proposto semplicemente una testimonianza. In fondo, una storia di droga diversa da molte altre storie. Una storia che apre decisamente alla speranza. Volutamente non ho steso alcuna lista di elementi che potrebbero essere definiti causali nel determinismo della tossicodipendenza, del disagio giovanile, della depressione, dei gravi disturbi comportamentali che oggi la cronaca ci racconta, rispetto ad altri elementi che potevano risultare protettivi ai tempi di quel ragazzo di Calabria. Ho pensato che tra le righe ognuno autonomamente possa scorgere quale maledetto processo evolutivo si sia instaurato nel tempo. Forse su quei franosi dirupi delle montagne di Aspromonte e su quelle ardite vette delle Mainarde e del Matese c’è scritta la storia di un tempo lontano e la storia di un tempo recente che sembra si somiglino poco. Il mondo è davvero cambiato tanto in pochi decenni. Nella forza di questo cambiamento si annida forse provvidenzialmente la speranza di aprirsi a un mondo nuovo in cui la scienza ed il progresso tecnologico non rubino nulla al mondo dei sentimenti e delle emozioni. E non sottraggano nulla, cosa più importante, all’intuizione intima e irriducibile di una dimensione trascendente che dia un senso anche agli eventi più distruttivi e più tragici del nostro tempo. Ma questo attiene oggi solo alla speranza. In un mondo così laico e così inquieto mi sembra davvero autentica ed attuale la disperata invocazione poetica di Giorgio Caproni: “-Dio di volontà, Dio onnipotente, cerca (sforzati), a furia d'insistere – almeno - d'esistere.”

 Domenico Lanciano


 

   
   

 


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