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Documento sulla legalità
COMUNITA' EDUCATIVA PASTORALE DI SOVERATO

   


Dopo i non pochi morti che negli ultimi mesi hanno insanguinato il nostro comprensorio, e dopo le ripetute azioni di illegalità e di violenza culminate nella uccisione di un soveratese, il nostro Parroco salesiano, offrendo riflessioni alla Comunità nei giorni successivi al delitto, al termine della Processione del Corpus Domini ha invitato la Comunità parrocchiale a chiedere a Dio giusto e misericordioso che si blocchino ulteriori progetti di morte e che ciascuno divenga, nel suo quotidiano, strumento di pacificazione e operatore di legalità.

In queste circostanze ha incoraggiato i responsabili a porre fine alla catena di violenza, convinto che sangue purtroppo chiama sangue.

In seguito un gruppo di laici impegnati nella Caritas e nell’animazione pastorale, insieme al Parroco, ha riflettuto prolungatamente su una situazione che eticamente ed educativamente potrebbe ulteriormente rendere delicata la realtà della nostra città.

Ma ci sembra altresì necessario che la comunità dei credenti, anche per un suo processo formativo ordinario e in contesto, e nella fedeltà al Vangelo, rilegga i fatti alla luce della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa.


Libertà e verità sono tra le condizioni necessarie di una vera democrazia, fondata sull’affermazione della dignità della persona e della soggettività della società civile.

Queste parole, riprese dal documento della CEI “Per un paese solidale. Chiesa Italiana e Mezzogiorno” non possono non farci riflettere alla luce degli ultimi accadimenti che hanno segnato la nostra comunità e, più in generale, tutto il comprensorio. Nell’ottica di una chiesa che sempre più deve essere missionaria e calata nella specifica realtà locale[2], nell’ottica di una chiesa incarnata nella storia, è necessario “prendere possesso" della realtà che ci circonda, imparando ad avvertirla come parte integrante della nostra stessa esperienza umana, fuggendo quell’astrazione alienante di un senso privatistico del proprio dovere.

Tutto ciò che accade attorno a noi non può essere vissuto con indifferenza, paura o, peggio ancora, ignavia: anche se, alla luce degli ultimi fatti di sangue, potremmo pensare che le persone direttamente coinvolte siano – in quanto criminali – quanto di più diverso da noi esista, dobbiamo avere ben presente che essi, come noi, sono uomini che per la natura umana avvertono lo stesso bisogno di liberazione dal peccato. Di più, essi sono uomini e donne della nostra chiesa, chiamati a condividere con noi lo stesso cammino di incarnazione della fede nella storia, qui e ora.

Non possiamo perciò accettare questo svolgersi di “destini paralleli”, questi funerali celebrati “oltre” la comunità ecclesiale, in uno spazio e un tempo che sembrano appartenere alle sole famiglie colpite dal lutto e magari ai sodali di un gruppo criminale, come se in quel momento quella chiesa cessasse di essere sintesi comunitaria e potesse temporaneamente prestarsi a un mondo “altro” dal popolo che celebra la domenica del Signore. La fede non è mai misurata per alcuni nell’atto celebrativo non possiamo accettare che la soglia delle nostre chiese sia persino varcata meditando ritorsione e nuovi progetti di morte, che diventi a turno lo spazio del dolore degli uni contro il dolore degli altri.

Ed è per questo che non possiamo quindi tacere sull’accaduto, ma nemmeno parlare scompostamente, sull’onda di quell’impulsività che già tanto male ha fatto alla nostra terra. E tuttavia sentiamo con forza di dover dire qualcosa, anche se non necessariamente qualcosa di nuovo. La novità (così come la verità) non è nelle nostre parole: a noi si chiede piuttosto un nuovo impegno, quello di  rinnovare l’incarnazione della Parola (e della Verità) nella storia. E’ questa Parola che deve guidare i nostri passi, i passi delle nostre comunità, i passi di chi seppellisce i morti. E’ questa Parola che deve convertire, facendo mutare sentiero al dolore che cova vendetta, alla paura che medita violenza, all’indifferenza che attende il prossimo cadavere come un fatto scontato.

Diciamoci anzitutto che non possiamo essere “tiepidi” ed avere una posizione tale da farci star bene tutto e il contrario di tutto. Lo stesso Giovanni ci avvisa nel libro dell’Apocalisse: “Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca.” Dove sono il nostro dolore, la nostra rabbia, la nostra indignazione per questo far west, che uccide vite umane e rischia persino di coinvolgere innocenti? Siamo forse complici di queste menti sconsiderate, che sfoggiano il loro potere di morte in pieno centro e in pieno giorno, senza alcun riguardo neppure per gli occhi e le orecchie dei nostri bambini? Possiamo davvero temere più le loro armi del monito dell’Apocalisse? E’ questo il frutto secolare delle nostre Messe e delle nostre processioni? E’ questa la sintesi della nostra fede?

Dobbiamo avere il coraggio di scegliere, nelle opere, altrimenti ogni nostra preghiera e invocazione rischia di tramutarsi in maledizione per noi stessi, che saremo “vomitati”, come ammonisce l’Apocalisse. Chiediamo perciò pubblicamente – ma anche singolarmente – a quelle persone che progettano morte e violenza, nelle nostre strade, nei nostri bar, nelle nostre piazze, vicino alle nostre case, che si convertano. Il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento rimane l’eco profonda della Chiesa nelle terre piegate alla criminalità organizzata: “Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!”. Abbiamo il coraggio di ripeterlo nelle nostre chiese, anche durante i funerali, perché non c’è liturgia che possa tentare di aggirare il comandamento dell’amore. Chiediamo pubblicamente alle nostre famiglie di ritrovare il modello di Nazareth. Che senso ha la venerazione per San Giuseppe laddove si afferma una paternità costruita sul prestigio criminale? Che senso ha la venerazione di Maria quando limitiamo la maternità a mera funzione generatrice? Che senso hanno delle famiglie concepite come “vincoli di forza sociale” che si affermano a discapito di altri uomini e di altre donne, di altre famiglie, che si affermano con violenza e prepotenza a discapito della comune famiglia umana? E’ forse questo l’esempio di Maria e Giuseppe? E’ forse l’obbedienza di Gesù un piegarsi alle imposizioni dei vincoli di sangue? E’ forse la famiglia di Nazareth un contorto edificio di compari e padrini, magari fondato sulla violenza?  Chiediamocelo insieme: è questo il Vangelo che circola nelle nostre chiese? Non possiamo ridurre la genitorialità ad un semplice processo di aiuto alla crescita biologica: abbiamo bisogno di padri presenti e di madri libere che abilitino i loro figli a scelte consapevoli e non necessariamente identiche a quelle già fatte dai genitori. Le madri siano con decisione guide sagge nel processo formativo dei ragazzi e sentinelle attente di tutto ciò che accade in famiglia: solo così potremo tentare di conformarci di più alla famiglia di Nazareth.

Non diciamo niente di nuovo, ma dobbiamo ripetere tenacemente ciò che rende servizio alla verità. “La crisi della società meridionale è crisi dei valori della legalità, della giustizia e del diritto, è crisi della laicità e, in ultima istanza, è crisi di Fede…)”. E ancora: “Manca quella mobilitazione delle coscienze  che, insieme a una efficace azione istituzionale, può frenare e ridurre il fenomeno criminoso.”Siamo tutti indirettamente corresponsabili degli eventi tragici di questi giorni nella misura in cui contribuiamo ad abbassare il nostro livello di eticità per scendere a compromessi con il “così fan tutti” o con il “se vuoi combinare qualcosa nella vita hai per forza bisogno di rivolgerti”. “Non vi è solo paura, ma spesso anche omertà; non si dà solo disimpegno, ma anche collusione; non sempre si subisce una concussione, ma spesso si trova comoda la corruzione per ottenere ciò che altrimenti non si potrebbe avere. Non sempre si è vittima del sopruso del potente o del gruppo criminale, ma spesso si cercano più il favore che il diritto, il «comparaggio» politico o criminale che il rispetto della legge e della propria dignità.”

La logica conseguenza di questo stato di cose è una sottocultura dominante che ci consente di anestetizzarci a tutto ciò che di molto brutto accade intorno a noi, riuscendo peraltro a convivere piuttosto “fruttuosamente” con “mali minori”. In tal modo, riusciamo ad accettare che uccidano impunemente nelle nostre strade, davanti ai nostri occhi, col pensiero inespresso “purché si ammazzino tra di loro…”. E poi riusciamo anche a sedere tra i banchi di una chiesa, davanti al Santissimo Sacramento, per impetrare una guarigione, il risultato di un esame, un ricongiungimento familiare, come se quei funerali e quei morti appartenessero ad un’altra chiesa e ad un’altra famiglia umana. Racchiusi nel piccolissimo istante di presente vissuto con i più intimi cari, dimentichiamo che la storia della Salvezza ha anche un passato ed un futuro verso cui siamo chiamati a camminare insieme, fratelli e sorelle di un’unica comunità ecclesiale, cittadini della stessa comunità civile, protagonisti di un’unica storia umana!

Ecco quindi l’esigenza di vivere con forza i livelli di eticità propri della comunità ecclesiale: ripudiando con decisione quel familismo amorale che ci vincola sin da piccoli, sin dalle inezie, a scelte obbligate da cui è difficile ritornare indietro. Dobbiamo compiere ogni sforzo per rinunciare ad atteggiamenti che possano alimentare il fenomeno mafioso: non solo mediante la condanna di tutte le forme di violenza, ma anche avendo sempre presente che la risoluzione dei problemi personali non va affidata al “padrino” di turno, ma a chi è a ciò preposto dall’Autorità dello Stato.

Ecco l’esigenza di evitare il rischio di “ritenere che si attuerà la legalità solo se saranno perseguiti tutti coloro che hanno violato la legge e se si otterrà una maggiore osservanza delle regole da parte di tutti. Ciò è certamente indispensabile, ma il degrado sociale che lamentiamo non è solo legato alla corruzione o alla violazione delle leggi ma anche alla scarsa considerazione ed attuazione dei diritti fondamentali delle persone, dal diritto alla vita al diritto all’onore, dal diritto all’informazione al diritto alla reale partecipazione, dal diritto al lavoro al diritto alla casa, dal diritto alla cultura al diritto di avere gli strumenti appropriati per un compiuto sviluppo umano.”Nelle nostre chiese dovremmo riscoprire il senso della “giustizia come virtù, la giustizia della vita”, non riducibile ad una mera osservanza della legalità formale. “L’autentica giustizia coincide con la moralità. La sconfitta dell’illegalità è il passo iniziale per la rigenerazione della società civile, che però non sarà giusta se non sarà virtuosa fino in fondo. Così, schierarsi contro la mafia diventa una scelta definitiva se non termina con le fiaccolate, ma continua con l’abbandonare per se stessi il costume dei favori. Così ripulire la politica dal fango della corruzione non coincide col punire i colpevoli, ma col far cessare il culto del potere e del disonesto denaro, col disinnescare le occasioni, col promuovere una cultura che coniughi insieme la politica con l’etica.”

In questo orizzonte di senso si ravvisa un grande pericolo nei confronti della stessa democrazia. “Il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove: fondamentali e imprescindibili sono certamente la dignità di ogni persona, il rispetto dei suoi diritti intangibili e inalienabili, nonché l’assunzione del bene comune come fine e criterio regolativo della vita politica”. Laddove i nostri rappresentanti non sono più liberi di agire per il meglio della comunità tutta, laddove per mettere a tacere alcuni dei più sensibili vengono elargiti dei “contentini” senza criteri etici e morali si rischia, in nome e per conto di una certa “libertà” lo sviluppo di una forma di tirannia. Dobbiamo, dunque avere il coraggio di alcune scelte che non possono rimanere ad un livello teorico, ma diventano significative e pratiche nel vivere quotidiano quando scelgo dove acquistare beni e servizi, quando mi domando il perché di alcune condizioni di vendita troppo vantaggiose, quando scelgo il candidato da votare, quando scelgo l’associazione in cui prestare servizio, quando scelgo di affermare i miei diritti, senza aspettare favori.  Si tratta di piccoli gesti quotidiani che colpiscono chi vuole imporre sul territorio il proprio autoritarismo.

Dobbiamo privare di valore alla radice l’unica vera moneta di cui dispone la criminalità organizzata e qualunque altro messaggero di morte, più o meno subdolo: il disconoscimento della dignità umana, l’abbrutimento della persona, del carnefice forse più ancora che della vittima. Apriamo gli occhi a questi nostri fratelli che vivono di sopruso e violenza: state negando la vostra stessa dignità di uomini, la stessa negando ai vostri figli prima ancora che alle vostre vittime. Convertitevi!

Vediamo bene che i confini del nostro incarnare la fede sono molto più vasti del nostro piccolo mondo personale. Comprendiamo che l’urgenza di ripetere parole e moniti già noti da tempo nasce dalla necessità di riconoscere la nostra fragilità umana e dal nostro bisogno di rialzarci dopo essere caduti. Sappiamo che nulla potremmo senza la grazia misericordiosa di Dio. Non dobbiamo perciò scoraggiarci, il Signore ci è vicino anche in questo tempo di particolare sofferenza e Gesù Cristo crocifisso ci ricorda che dopo il Calvario si giunge alla Resurrezione.   

Soverato, 29.06.2010
Festa di SS Pietro e Paolo

    Il Consiglio della Comunità Educativa Pastorale di Soverato 

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