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Noi schiavi del Videopoker

   


Mauro, Franco, Rodolfo. In comune fino a ieri avevano uno stesso destino:sfidare le slot machine sapendo che a vincere alla fine sarebbero state comunque loro,le malefiche macchinette. Vite buttate via aspettando una pioggia di monetine. Fino a quando non sono riusciti a uscirne, a dichiarare il loro stato di calamità personale. Fuori dalla palude dell’autocommiserazione, dall’esilio interno che si erano imposti , hanno trovato qualcuno pronto a considerarli vittime di una precisa patologia. Ecco le loro storie:

Mauro. << Sono figlio unico, romano, abito a Monteverde. Ho superato da poco i 30 anni e per almeno 10 sono stato schiavo del gioco>>. <<Ho iniziato con i videopoker quando ancora non erano legali e le bische li tenevano seminascoste. I primi tempi ci buttavo dentro 20 mila lire, poi sempre più,anche tutto lo stipendio e quando non mi è bastato più ho iniziato a rubare ai miei genitori. Quando li sentivo russare entravo in punta di piedi nella loro stanza e prendevo i soldi>>.  Gli studi al liceo, la fortuna di trovare un lavoro subito. Mauro, alto più della media, 4 tatuaggi,pelata stile Bisio, non aveva avuto nessun segno premonitore. Da bambino “Bim Bum Bam” in tv, qualche lettura classica, come “Il Piccolo Principe” di Saint-Exupèry, un normale andamento scolastico.<<Eravamo un gruppo di amici, ma da quando ho iniziato a giocare in modo  compulsivo sono rimasto solo>>. Non mi sento un ladro – riprende – ma per giocare ho rubato la pensione a mia zia che mi ha voluto bene e cresciuto come un figlio. Ho venduto la mia auto, i gioielli di mia madre, ho fatto cose di cui, anche se ora ho smesso di giocare, mi vergognerò per tutta la vita>>.

Franco.<< Il fondo? L’ho toccato quella volta che rubai due assegni a mio padre, li incassai perché dovevo pagare debiti di gioco. E invece andai, li incassai e mi giocai tutto. Ma se è per questo il fondo l’avevo già toccato altre volte e ogni volta mi sembrava di non poter precipitare più in basso. Ho simulato un furto a casa mia denunciandolo io stesso alla polizia; ho tradito la fiducia delle aziende per cui ho lavorato e quella di mia moglie, povera donna, che mi ha tirato fuori dalle situazioni più incredibili. Persino in viaggio di nozze la lasciavo per andare a giocare. Colpa mia, certo. Macchinette e cavalli, la mia rovina>>. Ognuno è libero di fare della propria vita ciò che vuole. Franco no. La sua è sempre stata un’attrazione forte, fatale. Prima bastava tenersi lontano dalle sale corse e da qualche bar ,adesso da quasi tutti i bar e persino dai capolinea delle metropolitane dove ormai si fa la fila per giocare alle slot.<< Chiamiamo le cose con il suo nome:il mio non è un vizio, è una malattia vera e propria. Mi è stata diagnosticata. Per capirlo ho impiegato un po’ troppo. Pensavo di essere più forte io. Non era cosi>>. Ogni giocatore ha il suo punto debole. Il richiamo al quale non resiste. Il rullio della pallina, la fragoletta che gira, il pulsante start da schiacciar.<< Sia chiaro, il problema è mio. Non chiedo l’abolizione delle slot o la chiusura di tutte le sale in cui si scommette, o la fine del totocalcio o del gratta e vinci. Il problema è la compulsione, l’adrenalina che scatta, non quando vinci soprattutto, quando perdi>>. Franco è un agente commerciale; vive a Roma, nel quartiere di Centocelle, ha 40 anni. Indossa una giacca di pelle, gli occhiali, una sciarpa beige al collo. << Sono un giocatore compulsivo. L’ho scoperto da ragazzo. All’epoca i videopoker erano vietati e io andavo a cercare nelle bische. Mi giocavo la paghetta, chiedevo soldi in prestito agli amici. Quando inizio non so smettere>>.

Rodolfo. << Dopo aver dilapidato il patrimonio della mia famiglia ero riuscito a restare lontano dal gioco. Mi sembrava di essere guarito. Dicevo “no” anche per una briscola. Mi ero rifatto una posizione, avevo messo da parte circa 150 mila euro…..mi è bastata una tombolata in famiglia>>. Rodolfo ora ha 55 anni,è un ex imprenditore. Ne aveva 26 quando ha cominciato.<< E’ una farfalla che ti sale allo stomaco. Non te ne liberi più. Tutto è iniziato con un Casinò on line. E arrivato a vincere 84 mila euro. Li ho ripersi tutti e in più anche quelli che avevo spalmato su 9 diverse carte di credito. Passavo le notti davanti al pc. Ero consapevole. Mi stavo rovinando ma non avevo il coraggio di svegliare mia moglie e dirle tutto. Mi ero perso di nuovo. Da quel giorno ho fatto il barbone,mi sono anche prostituito, per un lunghissimo periodo non ho rivisto i miei tre figli. Oggi che ne sono uscito chiedo a tutti di perdonarmi, ma so che non è facile>>.

Di Claudio Marincola, da il Messaggero del 2 Novembre 2010.

Queste sono storie che si aggiungono alle tante che abbiamo già letto nelle cronache locali. Un problema quello del gioco che non è circoscritto a un territorio o a un ceto sociale ma riguarda l’intera collettività e colpisce soprattutto “le famiglie”. In tutte queste storie noi notiamo che le prime vittime sono i bambini e i giovani che vivono il disagio di crescere con genitori patologicamente “persi” nel gioco. Persi nell’egoismo di voler “svoltare” con una vincita, senza fatica,senza rigore,senza pazienza,senza studio,senza rispetto,senza ingegno,senza caparbietà,senza la volontà di costruire il futuro immaginando una migliore qualità della vita della propria famiglia. Siamo vicini a tutte le donne che vivono questo problema in famiglia e siamo speranzosi che le tante associazioni di consumatori e soprattutto le associazioni femminili accolgano questo nostro appello per aiutare le famiglie che denunciano questo disagio. In attesa che lo Stato margini la diffusione e la pubblicità di questo fenomeno “economicamente scorretto”.

Associazione Soverato nel Cuore

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