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L'ultimo volo del Peter Pan nero

Michael Jackson (1958-2009)Era la tranquilla sera del 4 luglio ’92. David Zard mi aveva invitato ad assistere al concerto più spettacolare del mondo. Detto da lui c’era da crederci. Michael Jackson non era uno qualunque e certamente ci sarebbe stato da divertirsi. Poi, avevo già organizzato Spandau Ballet, Santana, Tina Turner, Sting e coltivare un altro sogno calabrese non mi dispiaceva affatto. Il Flaminio era circondato da file di ragazzi con panini e zainetto, alcuni seguiti  da genitori con cravatta e giornali. Era il primo concerto con biglietto elettronico. Tutto, ma proprio tutto, davvero speciale. La magia della sua musica aveva contagiato gente di tutte le età, per nulla preoccupata dal titolo dello show: “Dangerous World Tour”. Jackson l’aveva chiamato così, anche se di veramente pericoloso o rischioso ci fossero solo le urla delle ragazzine, almeno per i timpani.  Il Peter Pan nero, come lo aveva definito qualcuno, arrivò puntuale sotto una pioggia di fuoco, accompagnato dalle note dei Carmina Burana. Ci inzuppammo subito di scroscianti emozioni. “Fantasmagorico, maestoso, formidabile!” In tribuna giornalisti e colleghi facevano a gara a trovare l’aggettivo giusto. Lui, piccolo e sempre meno nero, in fondo un uomo normale,  in mezzo a quel palcoscenico che definire solo ciclopico potrebbe non dare l’idea di quanto fosse grande, cantava e ballava, tra passi da Broadway ed improvvise accelerazioni di dance metropolitana, quella che lui aveva inventato. Mi sembra di averlo ancora davanti. In ogni brano lo spettacolo incanta, la musica stordisce, gli effetti gelano. I ragazzi fanno “oh” per davvero ad ogni cambio di scena. Sparisce sotto una coperta come in un giochino di prestigio in “"Working day and night", divide in due il palco in “Thriller”, gonfia il più grande mappamondo mai visto  mentre decine di bambini cantano "Heal the World". “Salviamo il mondo!” Sì, perché Michael amava la vita e combatteva per cause umanitarie di ogni tipo. Un Peter Pan nero, sempre meno nero, in volo con la sua musica nell’immaginario di grandi e piccini. Il pubblico lo amava anche per questo. Quella notte romana si riempì della sua gioia di vivere e della sua musica senza tempo. In mezzo a tutte quelle sorprese da far sbarrare gli occhi, arrivarono i sui tanti "hit" per gli orecchi e la pelle, da "Smooth criminal" a "I just can' t stop loving you", da "Billie Jean" a "Beat it" e "Man in the mirror", fino a qualche omaggio ai suoi Jackson Five, al suo io rimasto sempre bambino. Per oltre due ore la realtà restò fuori da quello stadio, trasportato nello spazio come una grande astronave con quarantamila persone a bordo. La conclusione ipertecnologica, da sbarco sulla luna, strappò qualche lacrima a tanti. Michael, o probabilmente una sua controfigura, volò via dal palco spinto verso il cielo da razzi simili a quelli di James Bond. Alzammo tutti gli occhi per seguirlo, illuminato da un fascio di luce, fino a sparire. Oggi le lacrime sono riapparse improvvise negli occhi di chi, con la sua musica, ha vissuto avventure e amori, storie, notti d’estate in discoteca o in riva al mare, in auto o sotto l’ombrellone. Sono riapparse negli occhi di chi, solo nella sua stanza, ha qualche volta provato ad imitarne i passi. Questa volta a volare in cielo non c’era una controfigura, ma il Michael vero, quello pieno di paure e di umanità, quello che ci farà alzare gli occhi, non per un nuovo effetto speciale, ma perché sarà lì, sopra di noi, a brillare come una stella vera. Questa notte Michael, il Peter Pan nero,  ha terminato il suo più grande concerto ed è volato via davvero.

Ruggero Pegna

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