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Che cosa possiamo sperare che crolli al di qua del Mediterraneo

   


 E’ passato poco più di un mese dal difficoltoso insediamento del nuovo presidente del Gal “Serre calabresi”, e si comincia a capire come questo importante (e finora impenetrabile) organismo fosse ben gestito e governato. L’ex presidente Olivadese – si apprende dalla stampa locale (il Quotidiano, 10 marzo 2011, pag. 29) – si è rimborsato 24.000 euro solo di indennità chilometrica, nel corso del 2010. In altre parole ha completato, con la sua vettura, il giro del mondo in 365 giorni, ovviamente per un più rapido sviluppo del nostro territorio. Peccato solo che il territorio, di tutto questo dinamismo, non si sia minimamente accorto.

Lo straniero che leggesse queste cose, provenendo da una qualsiasi regione del mondo mezzo civilizzato, sarebbe naturalmente portato a pensare che il nostro sarà chiamato a fornire qualche spiegazione, in proposito. Non è così. Sarà al contrario il nuovo presidente Puntieri ad essere indagato. Per il reato di lesa maestà, presumibilmente, o per quello di blasfemia. Oppure per eccesso di trasparenza. Ma riguardo al reato non sembrano avere le idee chiare neppure i querelanti, che hanno chiesto alla Procura di “trovarne qualcuno”.

Fin dall’inizio, la vicenda del cambio al vertice del Gal ha offerto spunti e opportunità di riflessione straordinari. A cominciare da un intervento del sindaco di Torre, Giuseppe Pitaro, trasmesso da Telejonio il 7 febbraio scorso, che è incredibilmente passato quasi inosservato mentre avrebbe potuto forse suscitare un dibattito enorme, per la chiarezza non usuale, la precisione con la quale centrava il cuore di una di quelle questioni indiscutibili che dalle nostre parti non si ama discutere in pubblico. Ha dichiarato Pitaro: “…è una battaglia di rinnovamento generale, che ritengo vada esteso a tutto questo comprensorio…ci sono diversi enti gestiti, ormai da vent’anni circa, dalle stesse persone…credo sia arrivato il momento di cambiare metodo e cambiare persone, cambiare i soggetti che hanno gestito la politica di quest’ultimo ventennio… non interessa se uno è di centro-destra o di centro-sinistra…qui si tratta di rinnovare, puntare sulle persone di qualità…credo che la gente sia stanca di vedere sempre le stesse persone nello stesso posto con le stesse indennità, con le stesse mansioni, con la stessa preoccupazione quotidiana di piccole gestioni, di piccole clientele…bisogna cambiare, questo è il messaggio…”

In poche parole una sintesi di storia della Calabria. Un’intera antropologia, avrebbe forse detto Calvino, racchiusa nelle dimensioni di un epigramma. Contemporaneamente si intravede una prospettiva, perché se c’è chi ragiona davvero così, forse non tutto è perduto.

Viceversa, qual é stato, fin da subito, l’atteggiamento di Olivadese? Nei panni di improbabile rais cismediterraneo ha dapprima provato a banalizzare, bollando come “scricchiolio” una mozione di sfiducia sottoscritta dal 60 % degli aventi diritto (solo chi è capace di pensare un ente o un istituto come struttura di sistema e di potere può non trovare assolutamente inadeguata l’espressione “scricchiolio”). Si è poi immerso in una serie di contorte manovre che lo hanno visto, ancora a fine gennaio, sottoporre al vaglio (evidentemente suo e dei suoi) la validità delle quote e il diritto al voto di soci che, di fatto, lo avevano esautorato già il 4 dicembre. Fino alla scomposta e rabbiosa reazione finale, con annesso strascico legale. 

Riesce difficile immaginare come si sia potuto dialogare con il territorio quando si ha difficoltà persino a dialogare con se stessi (essendo requisiti irrinunciabili, per quest’ultima attività, il dubbio, il desiderio di capire meglio, il contegno critico e autocritico). Ma ciò che più colpisce è l’instancabilità nel rovesciare tutto, la brama di trasferire ogni questione all’interno di un universo fittizio, illusorio, virtuale, dove ogni espressione ed ogni concetto (democrazia, trasparenza, legalità, ecc.) si ribalta e si risolve nel suo esatto contrario. Mentre l’attenzione al significato proprio delle parole, la rinuncia a ogni loro uso finalizzato o ornamentale (che le depotenzia fino a farne, appunto, “parole” cioè suoni vuoti, vibrazioni nello spazio distinte dalla “realtà”), dovrebbe essere la prima credenziale pretesa da chi vuole occuparsi, a qualsiasi livello, del futuro comune.  Da noi, purtroppo, i più abili a baloccarsi con le parole hanno le carriere politiche più longeve. Un malcelato cinismo li costringe a questa (consapevole) distinzione: il volgo campa d’aria, di suoni, di chiacchiere: la realtà è un’altra, è molto concreta, e ci appartiene: appartiene a noi, i parolai, i furbetti dei paesini. Un sottoprodotto di questo costume è la scorciatoia delle sigle e degli slogan, veri crampi della comunicazione: piar, psl, pit, distretti, gect, schemi convenzione, fondi strutturali, manifestazioni d’interesse, short list, percorsi glutenfree, e via dicendo: tutte chiacchiere fritte, pompose sciocchezze, bischerate. Il nulla strepitante, dato in pasto ai bisognosi e agli impressionabili.

Nell’automatismo di tale copione, persino i sentimenti meno elevati, come il campanilismo, appaiono capovolti: i primi a rammaricarsi per l’elezione di Renato Puntieri sono proprio gli attuali amministratori di Olivadi. Ben lungi dal rallegrarsi della stima tributata a un proprio concittadino hanno semmai da recriminare. Minimizzano i suoi risultati, riconosciuti praticamente ovunque. Lo considerano un nemico. Invocano il rispetto delle vecchie logiche di schieramento o di partito. Eppure, in questo mondo alla rovescia (sarà nella necessità di rimettere la realtà in piedi, il nocciolo della nostra, nuova, questione meridionale?), l’energica, pulita, lucida mitezza di Renato Puntieri (ovviamente mancato profeta in patria), il suo non esibire un’appartenenza, la sua passione per la buona pratica amministrativa, il rispetto per se stesso, è da sola un evento rivoluzionario. Una buona notizia. Una speranza.

L’immagine di un trapano pronto a intervenire sulle serrature per consentire al nuovo presidente di insediarsi, e quella dei Carabinieri che verbalizzano la sparizione di documenti e di chiavi, restituite dalle televisioni locali, spiacevolmente mostrano quanto può essere largo e penoso il giro che quaggiù devono fare il buon senso e la chiarezza.

Tanta incapacità di una presa d’atto civile dell’urgenza di una situazione nuova, tanta pervicacia, tanta pretesa di svilire, dalle nostre parti, ogni tentativo di maggiore età, di civiltà moderna, di pensiero capace di risvegliare in tutti nuove e pari opportunità, non si spiega solo con  la paura di perdere i privilegi e la presidenza del Gal. C’è molto di più: c’è il terrore che possa cambiare una logica. Da quanti decenni un Pino Maida, o un Enzo Bruno, si occupano di quella che dovrebbe essere la res publica? E con quali risultati a parte l’avveduta gestione delle proprie carriere? Sono soltanto due nomi, due esempi, è chiaro. Ciascuno dei nostri paesi ha i suoi, li conosciamo bene. Gestori per dis-grazia di Dio e mancanza di volontà della nazione. Gerontocrazie in vernacolo, senza fantasia e senza progetto, che si autoalimentano della propria supponenza. Che pretendono atti di fedeltà credula e servile. Professionisti dello status quo. Una casta a un tempo radical-chic e popolana, una teocrazia da operetta, pericolosa, nel suo piccolo, quanto quella propriamente detta: da chi si crede titolare di un’investitura divina ci si può difendere con la laicità, testimoniando, rivendicando laicità. Con costoro, soprattutto quando si attribuiscono un’etichetta di sinistra, i conservatori, i nemici del sol dell’avvenire (rovesciato) rischiano di sembrare tutti gli altri. Bisogna fare un passaggio di spiegazioni in più. Bisogna giustificare anche l’ovvio, come è capitato al sindaco Michele Drosi, che ha dovuto precisare: “non m’importa di sigle e di partiti: spero in un’occasione di sviluppo per il nostro territorio”. In mezzo una maggioranza troppo silenziosa. Troppa gente ancora incapace di aprire gli occhi e sciogliere la lingua. Troppa gente rassegnata a non vedere altro che la caricatura dell’apprendista stregone negli sforzi di chiunque cerchi di sottrarre qualche leva dalle mani degli stregoni di professione. Mentre il nostro territorio langue (ha ragione Drosi) e paga queste rendite di posizione. Questi vitalizi, questi somari di Caligola, senatori a vita.

Che fare, dunque? Mandarli al rogo, alimentando il rogo stesso con tutti i libri che non hanno letto? Ovviamente no. Si tratta solo di dire una parola, semplice e chiara, come ha fatto Pitaro. Come in un caleidoscopio, a volte basta un piccolo movimento, uno scricchiolio, e tutto cambia. Tutto può modificarsi ed essere per sempre diverso.

 

 Pasquale Cosentino
 

   
   


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