Rubrica di Opinioni di Francesco Raspa

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QUANDO I NAUFRAGHI ERAVAMO NOI

  


E’ il titolo di un interessante articolo apparso l’8 Aprile scorso sulla pagina culturale del Corriere della Sera a firma di Gian Antonio Stella. All’indomani del naufragio di un battello di clandestini nordafricani nel canale di Sicilia, che cercavano di raggiungere le coste italiane, il giornalista del Corriere interviene con una veloce ricognizione storica nella quale ci rammenta che a naufragare ed a morire in mare nel tentativo di raggiungere le Americhe, ci furono anche moltissimi italiani e non solo.

Egli cita una serie di tragici eventi e riporta testimonianze tratte dai giornali del tempo e da dichiarazioni rilasciate dai superstiti.

Il 17 Marzo del 1891 un bastimento battente bandiera inglese, l’Utopia, parte da Trieste, si ferma a Napoli e va ad affondare per una manovra sbagliata nel porto di Gibilterra. Muoiono 576 persone degli 813 migranti che vi erano a bordo, quasi tutti italiani.

Il 4 Luglio del 1898 ad affondare è un piroscafo francese, il Bourgogne, a causa di una collisione con un veliero inglese nella “Nuova Scozia”. Si parlò di “ecatombe”. Periscono 549 passeggeri, anche questi, quasi tutti italiani secondo la ricostruzione di Stella.

Un altro grave incidente va datato il 4 Agosto del 1906, sulle coste spagnole. Il vapore Sirio, che carica migranti a Genova per poi dirigersi in Brasile, affonda sulle coste di Cartagena. L’equipaggio del vapore non possedeva le carte nautiche, scialuppe di salvataggio sufficienti ed era molto carente in altri aspetti di natura tecnica. Ufficialmente si contano 292 morti, ma trattandosi di poveri migranti, il cui interesse, rispetto ad altri accadimenti dell’epoca, non è significativo si nasconde, per ragioni assicurative la verità. Secondo Stella i morti vanno conteggiati nell’ordine di 400-500 persone.

 In epoca fascista, tragico l’affondamento della Principessa Mafalda, nave storica della marina commerciale, ma ridotta ad una bagnarola nel suo ultimo viaggio verso il Brasile, pieno di migranti. Nonostante il motore si rompa otto volte, il Capitano decide ugualmente di affrontare l’Oceano. Al  largo del Brasile si inabissa e muoiono 657 passeggeri. Il regime fascista che ormai controlla la stampa (nel 1925 erano già state emanate le Leggi fascistissime, successive al delitto Matteotti) ne sminuisce il dramma facendo scrivere al Corriere della sera che vi erano state solo poche decine di morti.

Questa tragica ricognizione, che propongo come riflessione per tutti, ha lo scopo di ricordare che il migrante non è un turista. Che il migrante, se potesse, rimarrebbe a casa sua. Che il migrante quando s’imbarca, pagando il “pizzo”, cosciente pure di rischiare la vita, se lo fa, è perché è disperato.

Prima che qualcuno commenti che tutto ciò non giustifica l’accoglimento di tutte le ondate migratorie possibili ed immaginabili, vale la pena cercare di capire perché esistono intere aree geografiche dalle quali la gente vuole scappare.

Le politiche dei governi europei, hanno fatto sì che si stringessero calorosamente le mani e si facessero affari con molti dittatori di questi paesi. Appare chiaro che non possiamo pensare di toglierci il pensiero scaricando i migranti in mare. Forse questi eventi sono frutto di politiche internazionali sbagliate, che evidentemente, ad un certo punto presentano il conto. A pagarlo sono i migranti e le popolazioni da essi “invase”.

Fora de i ball lo può dire la Lega. Le regioni del Settentrione. Quelli che pensano che con il federalismo, politico e fiscale, avranno un grazioso ed intoccabile orticello, ricco di profumate ortensie e di grassi ortaggi, convinti che gli altri, nella più totale disperazione, stiano lì a guardare, senza toccare nulla.

 Francesco Raspa

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