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Aumenta sempre di più l’attenzione nel mondo verso i due celeberrimi capolavori greci del V secolo a.C.
Ai Bronzi di Riace, emigrar non piace
Trasferirli fuori dalla Calabria, dicono molti critici d’arte, sarebbe un danno enorme 

Cosa sarebbe Reggio Calabria senza i Bronzi di Riace? Per molti stranieri, e anche per la maggior parte dei nostri connazionali, secondo un recente sondaggio, sarebbe «una città un po' meno desiderabile». Sarebbe - se è lecito fare un paragone, visto l'inestimabile valore dei due celeberrimi guerrieri greci - come una Roma senza Colosseo o come una Venezia senza piazza San Marco e le sue gondole. Poche opere d'arte al mondo possono vantare un simile fascino. È davvero impossibile rimanere indifferenti alla vista delle due grandi statue maschili ignude (il «Giovane» e il «Vecchio»), considerate le maggiori opere originali in bronzo di artisti greci finora pervenuteci e riconosciute unanimamente, dai critici d'arte di tutto il mondo, come doni offerti alle divinità da parte di vincitori di gare olimpiche. Realizzate fra il 460 e il 420 avanti Cristo, perfette e armoniose nelle forme anatomiche, le due statue (ancorché prive di alcuni elementi, come lo scudo e l’elmo, finiti presumibilmente in qualche museo privato statunitense) trovarono dimora - fin da quel lontano 1972 in cui furono ripescati al largo di Porto Farticchio, presso Riace Marina - nel Museo nazionale di Reggio Calabria. È questa ormai la loro sede naturale e qui - dicono i reggini - devono restare. I Bronzi di Riace, peraltro, non sono solo patrimonio dei reggini - come qualcuno potrebbe erroneamente pensare - ma rappresentano un preziosissimo gioiello di famiglia per tutti i calabresi; il vero simbolo della Calabria. «Chi intende visitarli», sostiene con orgoglio una signora reggina, «deve fare tappa a Reggio. Perché anche esponendoli semplicemente in una qualsiasi altra città d'Italia, suonerebbe come una frode compiuta ai danni del nostro turismo artistico e culturale». Ed ha pienamente ragione, la signora di Reggio. D'altronde, nessuno si è mai azzardato fino ad oggi ad avanzare proposte di trasferimento o di «viaggi temporanei» per altre grandi opere, come ad esempio l'italianissima Gioconda che da tempo immemorabile continua a restarsene di là dall'Italia, addirittura al Louvre di Parigi. Come mai allora queste assurde proposte continuano ad essere rivolte, sempre più pressantemente, solo per quanto riguarda i Bronzi di Riace?

Dietro a questo interesse mondiale che si sta registrando attorno ai due guerrieri sembra esserci qualcosa - consentitemi il dubbio, se dubitare è ancora legittimo - che non quadra. Proprio di questa vicenda avevo avuto modo di occuparmi, già diversi mesi addietro, sulla pagina culturale di Gazzetta del Sud (cfr. numero del 14 giugno 2009). Come dire?, in tempi del tutto non sospetti. Con largo anticipo dalla data del G8 svoltosi a L'Aquila, difatti circolava voce in qualche ministero che taluni Capi di governo, presenti al summit mondiale dei Grandi della Terra, avevano espresso il desiderio di voler vedere da vicino i due celeberrimi guerrieri. Molti esperti del settore (e fra questi Vittorio Sgarbi) in quel periodo, specie dopo aver saputo che finanche Barack Obama e consorte avevano manifestato grande interesse a vedere i Bronzi da vicino e che altri Capi di Stato si sarebbero detti convinti di non resistere al fascino delle due eleganti opere, si erano spontaneamente chiesti: «Ma perché non vengono a visitarli nella loro sede naturale, al museo di Reggio Calabria, e pretendono che siano i Bronzi ad andare da loro?».

Accondiscendere fino a tal punto alle inaudite richieste dei potenti di turno, per molti già d'allora suonò francamente come un'autoflagellazione sia dal punto di vista turistico che artistico e culturale. Per di più, specie dopo una sentenza del Consiglio di Stato che ritenne legittima la clonazione delle opere d'arte, si tentò di scongiurare persino il pericolo che i Bronzi potessero partire da Reggio nella loro veste originale per poi ritornare in copie identiche.

I due mitici guerrieri riemersi dalle acque del mare Ionio (quasi a testimoniare uno dei periodi più floridi della Magna Grecia e della cultura dell'intera umanità), finora varcarono i confini regionali solo in una determinata circostanza da quel lontano 16 agosto del 1972 quando il sub romano Stefano Mariottini ebbe la fortuna di scoprirli. Portati nel Museo di Reggio, i due capolavori vi rimasero fino al 1975, allorquando furono trasferiti a Firenze per un lungo e accurato restauro. Fu in quell'occasione che vennero esposti, nel dicembre del 1980, prima presso il Museo dell'Etruria del capoluogo toscano e successivamente a Roma, nel Palazzo del Quirinale. 


Vincenzo Pitaro

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