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Con umiltà e orgoglio

   
Premesso che Michele Amadori ha la facoltà di esprimere tutto quello che pensa e dove gli pare, deve avere la compiacenza tutte le volte che cita il film “My Land” su qualunque organo di informazione pubblico a mezzo stampa e on line, di scrivere “My Land di Maurizio Paparazzo”, avendone il sottoscritto firmato la regia. Essendo egli autore dei “suoi” brani, capisce quello che voglio dire.

In secondo luogo, inviterei Michele Amadori ad accettare con serenità che il film “My Land” abbia ricevuto un riconoscimento alla 46^ edizione del festival di Lecce alla presenza di rappresentanti di Ambasciate e Consolati Internazionali, oltre che di stampa estera accreditata. Un riconoscimento a un film che non ha nessuna pretesa di essere un capolavoro ma che, uno gratifica moralmente chi ci ha lavorato, due fa un tantino onore alla nostra Città di Soverato, dove il film è stato in gran parte girato, e tre giustifica il parziale sostegno economico concesso al film dalla Provincia di Catanzaro e dalla Film Commission, nonché dal Comune di Soverato.

In terzo luogo, la critica. RIVENDICO PER LA MIA REGIONE QUELLO CHE NON E’ MAI STATO FATTO (a parte rarissimi ma rarissimi casi), CIOE’ IL DIRITTO DI ESSERE RACCONTATA NEL CINEMA O IN TV COME UNA TERRA NORMALE E UMANA E NON SEMPRE ALL’INSEGNA DEL CRIMINE, DEL PATETICO E DEL GROTTESCO. Diritto che puntualmente faccio rivivere in My Land, mio quinto film, e in tutti gli altri che compongono la mia filmografia. Sono tutti film a soggetto, interamente girati in Calabria, con attori presi tra la gente comune (a parte il compianto Pino Michienzi, Antonella Ponziani e Gennaro Cannavacciuolo), con una coerenza tematica di fondo indiscutibile e radicata e girati con mezzi tecnici e finanziari proibitivi. Nella Storia del Cinema calabrese, nessuno mai ha realizzato in Calabria tanti film a soggetto, che spaziano dal dramma, al giallo metaforico alla commedia e dove si toccano temi come la “nostra” emigrazione, la “nostra” fragilità economica, la “nostra” incoerenza politica, la “nostra” tradizione e modernità, ecc. In tutti i film, comunque, il paesaggio non è mai sfondo scenografico anonimo o contenitore di stragi ad effetto, di donne baffute sciocche e di vecchi sdentati su cui ci ha riso dietro e compatito mezzo mondo. E non c’è nessuna critica (seria) che può prescindere da tali premesse, da tale primato e dai traguardi raggiunti: Menzioni speciali e Riconoscimenti (Torino e Lecce) e due passaggi televisivi in RAI. E allora ben venga ed è giusto che se ne parli, con umiltà e orgoglio.

 Maurizio Paparazzo.

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