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Fraietta scarcerato Tripodi rimarrà dietro le sbarre

Catanzaro Un indagato scarcerato, l'altro dietro le sbarre. È questa la decisione del Tribunale del riesame nei confronti di due persone colpite da altrettante ordinanze di custodia cautelare eseguite dai carabinieri della Compagnia di Soverato, diretta dal capitano Emanuele Leuzzi, su disposizione dell'ufficio Gip del tribunale di Catanzaro. Nel dettaglio rimarrà in carcere Maurizio Tripodi, 51 anni, imprenditore, originario di Mongiana e residente a Soverato, difeso dall'avvocato Salvatore Staiano mentre è stato scarcerato Rosario Salvatore Fraietta, 56 anni, artigiano, originario di Guardavalle ma residente in provincia di Pavia, assistito dagli avvocati Salvatore Staiano e Saverio Loiero.

I due, secondo quanto riferito dai carabinieri, sarebbero ritenuti responsabili per fatti commessi a cavallo degli anni 2003 e 2004, insieme ad altri 60 indagati, di associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed estorsione. Tripodi, avrebbe fatto parte del nascente "locale di 'ndrangheta" di Soverato, alleato con la "famiglia" Costa di Siderno e del gruppo delinquenziale facente capo a Bayan Khaled, detto il libanese, per i quali ha proceduto la Procura di Reggio Calabria con l'emissione di sette ordinanze di custodia cautelare in carcere, eseguite nel dicembre del 2008 e nel febbraio 2009. Fraietta, invece, avrebbe fatto parte del "locale di 'ndrangheta" di Guardavalle. L'indagine nasce da un approfondimento dell'inchiesta "Mithos" con lo scopo di delineare i gruppi criminali operanti a Soverato e altri centri attigui, rilevando dei collegamenti tra il gruppo "Sia" a quello dei Vallelunga di Serra San Bruno. Famiglie al centro di una sanguinosa faida. (g.m. - gazzetta del sud del 10/07/2010)


Duplice omicidio Grattà
Custodia cautelare in carcere per i tre indagati

Sia, Catrambone e VitaleLe emergenze riepilogate, se unitariamente lette, consentono di ritenere provato - quantomeno in termini di gravita' indiziaria e fatte salve ulteriori emergenze investigative - il coinvolgimento di Sia Alberto, Vitale Patrik e Catrambone Giovanni certamente nella fese logistica, di preparazione e predisposizione dei mezzi per la consumazione del duplice omicidio in danno dei gemelli Gratta' Vito e Nicola". E' questo uno dei passaggi piu' significativi delle 19 pagine dell'ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, Emma Sonni, ha convalidato i fermi e disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di Alberto Sia, 26 anni, di Soverato, avvisato orale di pubblica sicurezza e figlio di Vittorio Sia, 51 anni, il presunto boss ucciso in un agguato il 22 aprile scorso; Patrik Vitale, 26 anni, di Satriano e Giovanni Catrambone, 22 anni, di Montepaone, finiti in manette il 2 luglio con l'accusa di concorso nel duplice omicidio dei fratelli 45enni Vito e Nicola Gratta', avvenuto l'11 giugno scorso a Gagliato (Catanzaro).
Il gip ha disposto le misure ieri, dopo che i giovani (difesi dagli avvocati Salvatore Staiano e Giovanni Caridi) si sono avvalsi della facolta' di non rispondere alle sue domande, in merito alla tesi accusatoria secondo la quale i tre, assieme ai quali e' indagato anche un minorenne, avrebbero partecipato alla ideazione e all'esecuzione dell'omicidio dei Gratta', maturato nell'ambito di una faida tra cosche per il controllo del soveratese, nonche' del territorio a cavallo con le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Una delle vittime di questa guerra e' stato proprio Vittorio Sia, padre di Alberto, ed ora quest'ultimo e Vitale e Catrambone sono sospettati di aver rubato lo scooter utilizzato per l'agguato di chiaro stampo mafioso in cui sono stati freddati i due Gratta'. Le ipotesi d'accusa per i tre sono di concorso in omicidio, furto aggravato, lesioni e porto abusivo di arma da fuoco. "Evidente in ogni caso - ha scritto piu' avanti il gip - il proposito ritorsivo sotteso all'intero discorso e palesato dai due interlocutori senza remora alcuna. Ma vi e' di piu'. Dalle emergenze investigative e' risultato ed e' stato provato come il luogo del rinvenimento del motociclo bruciato, loc. Pieta' di Petrizzi, era nella piena disponibilita' dei malviventi, che evidentemente lo ritenevano anche un luogo sicuro, perche' al riparo dai possibili controlli delle FF. OO., al punto da occultarvi il provento di altre attivita' illecite". Il riferimento del giudice e' al contenuto delle intercettazioni ed agli altri riscontri investigativi che hanno permesso ai carabinieri di verificare che i tre giovani avrebbero rubato lo scooter utilizzato per il duplice omicidio Gratta', poi rinvenuto bruciato in localita' Pieta' di Petrizzi, non distante dal luogo dell'agguato, e cioe' in una zona che sarebbe sotto il controllo proprio di Sia e degli altri due fermati. Qui i militari hanno rinvenuto anche una pistola 9x19 con quattro colpi nel caricatore, pure bruciata, compatibile con quella utilizzata per l'agguato. E, a sostegno del proprio provvedimento, il gip sottolinea soprattutto che la chiave di lettura dei vari fatti ricostruiti nel quadro accusatorio "solo apparentemente scollegati fra loro, e' offerta dalle captazioni eseguite anche nell'ambito di altri procedimenti ed acquisite in atti. Da queste si desume come il rapporto intercorrente fra i malviventi va ben oltre quello che potrebbe apparire da un vincolo meramente amicale, connotato da stabile ed assidua frequentazione, sussistendo plurimi elementi da cui desumere, invece, l'esistenza di una vera e propria cointeressenza illecita, che li porta a condividere la programmazione di attivita' delittuose, la cui attuazione e' realizzata attraverso la predisposizione comune di uomini e mezzi".
Secondo il gip tutto ciò "induce a ritenere quanto mai concreto e attuale il rischio, in capo agli odierni pervenuti, di subire ritorsioni ad opera di esponenti della fazione avversa, con conseguente pericolo per la loro incolumita' personale: tanto vale a fondare il pericolo di fuga dei medesimi, i quali, al fine di sottrarsi al rischio di una rappresaglia in loro danno, avrebbero potuto allontanarsi, facendo perdere le proprie tracce". Questo, insieme agli esiti delle captazioni che dimostrerebbero come gli indagati abbiano la disponibilita' di armi, ed alla valutazione possano rendersi protagonisti di altri fatti delittuosi, ha indotto il giudice a ritenere che fosse necessario lasciare tutti e tre in carcere.


Ha organizzato la vendetta per il padre In manette il figlio del boss ammazzato
L'episodio è inquadrato nella "faida dei boschi" che ha fatto vittime in tre province

Una decina di morti ammazzati nel giro di pochi mesi, due gruppi ferocemente contrapposti in una guerra che coinvolge almeno tre province ed una faida (detta "dei boschi") tutt'altro che conclusa. Ora però gli inquirenti sono riusciti ad alzare un primo velo su almeno un delitto. E ritengono di aver imboccato la pista giusta grazie ad una chiave di lettura ben precisa del violento scontro in atto tra il Basso Jonio catanzarese, la Locride e le Serre vibonesi, che vede due gruppi contrapposti per il più classico controllo del traffico di droga, degli appalti pubblici e di altre attività imprenditoriali. All'alba di ieri, i Carabinieri del Reparto operativo provinciale di Catanzaro e della Compagnia di Soverato hanno fatto scattare le manette intorno ai polsi di tre giovani accusati di aver partecipato al duplice omicidio dei fratelli gemelli Vito e Nicola Grattà, 45 anni, avvenuto a Gagliato, piccolo centro del Catanzarese a nord del comprensorio di Soverato, l'11 giugno scorso. Nei loro confronti è stato disposto lo stato di fermo con le accuse di concorso in omicidio, furto aggravato, lesioni e porto abusivo di arma da fuoco. Il provvedimento è stato emesso nei confronti di Alberto Sia, 26 anni, di Soverato, avvisato orale di pubblica sicurezza e figlio di Vittorio Sia, 51 anni, il presunto boss ucciso in un agguato il 22 aprile scorso; Patrik Vitale, 26 anni, di Satriano e Giovanni Catrambone, 22, di Montepaone, entrambi noti per piccoli fatti di cronaca. Con loro è indagato anche un minore, mentre si procede contro ignoti in attesa di ricostruire anche l'identità dei killer che hanno materialmente ucciso i fratelli Grattà. Nel corso della conferenza stampa, che si è svolta ieri a Catanzaro, nella sede del Comando Legione Carabinieri Calabria, è stata ricostruita l'attività delle indagini, alla presenza del procuratore di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, del procuratore aggiunto Salvatore Murone (titolare del fascicolo assieme al pm Vincenzo Capomolla), del comandante provinciale dell'Arma, il col. Claudio D'Angelo, del comandante del Reparto operativo provinciale, il tenente colonnello Giorgio Naselli, e del comandante della Compagnia di Soverato, capitano Emanuele Leuzzi. Il duplice omicidio dei Grattà, secondo gli inquirenti, sarebbe la risposta all'assassinio di Vittorio Sia. Le intercettazioni telefoniche e ambientali ed i riscontri investigativi hanno permesso di verificare che i tre giovani avrebbero rubato a Catanzaro, nella notte tra il 27 e il 28 maggio, lo scooter Yamaha utilizzato per l'agguato. Lo stesso motociclo è stato rinvenuto bruciato in località Pietà di Petrizzi, non distante dal luogo dell'agguato. Una zona che, secondo gli investigatori, sarebbe sotto il controllo proprio di Sia e degli altri due fermati. È qui che i Cc hanno rinvenuto anche una pistola calibro 9x19, bruciata assieme allo scooter, «assolutamente compatibile con quella utilizzata per l'agguato», come confermato dal procuratore Murone. Nella zona, dove esiste una galleria delle Ferrovie della Calabria dismessa, sono state rinvenute anche due pistole avvolte in un sacco di plastica (una calibro 38 e una calibro 357 Magnum entrambe pronte per sparare) e una macchinetta cambia-monete, frutto di un furto simulato avvenuto in un bar di Soverato ed al quale avrebbero partecipato alcuni dei tre fermati. Grazie a questi indizi, gli inquirenti sono risaliti a Sia, Vitale e Catrambone, fermati dunque all'alba di ieri. Nel corso dell'operazione, i Cc hanno anche rinvenuto e sequestrato nel giardino dell'abitazione di Sia 45 grammi di cocaina nascosti in un barattolo interrato. Come risultato dalle intercettazioni, Sia avrebbe voluto vendicare a tutti i costi l'omicidio del padre, il boss Vittorio Sia, e per questo avrebbe organizzato con i due suoi amici i preparativi per l'uccisione dei gemelli Grattà. Proprio per questo il ragazzo avrebbe avuto contatti con esponenti della 'ndrangheta dell'area del Basso Jonio catanzarese. Sia e Vitale parlarono della vendetta a bordo di un'auto. Il figlio del boss, in particolare, sosteneva che «devo passare da là incappucciato e farlo fringuli fringuli (a pezzi, ndr)». E ancora: «Lo devo lasciare freddo... freddo a quella serranda lo devo lasciare». L'azione criminosa sarebbe stata organizzata quindi organizzata nei minimi particolari, dalla scelta del motorino da utilizzare passando per gli interventi di miglioramento dello stesso scooter e poi per l'occultamento del mezzo a due ruote e della pistola. Un particolare rilevato dagli inquirenti, infine, sull'arma: sono convinti che quella trovata in contrada Pietà abbia ucciso i fratelli Grattà anche perché sul luogo del delitto sono stati trovati solo 8 bossoli. Dov'erano gli altri 4 contenuti nel caricatore? Ovviamente nella pistola bruciata dai killer.

(Giuseppe Lo Re - Gazzetta del Sud del 03/07/2010)


Catanzaro: Tre fermi per duplice omicidio

CATANZARO - I carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro hanno eseguito questa mattina tre fermi nei confronti dei responsabili del duplice omicidio dei fratelli Vito e Nicola Gratta', uccisi l'11 giugno scorso a Gagliato, nel catanzarese, mentre giocavano a carte. La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha emesso i provvedimenti nei confronti di Alberto Sia (26 anni), Patrik Vitale (26) e Giovanni Catrambone (22). Secondo gli investigatori il delitto rientra nella guerra di mafia in atto tra le cosche per il predominio del territorio. Alberto Sia e' il figlio di Vittorio Sia, ritenuto un boss, ucciso nell'aprile scorso a Soverato. Le indagini sono state condotta dal Reparto operativo del Comando provinciale di Catanzaro e dalla Compagnia di Soverato. All'operazione per l'esecuzione dei fermi hanno collaborato i militari dello Squadrone Cacciatori Calabria e le unita' cinofile.


Operazione Zefiro, alla sbarra sei imputati accusati di spaccio di droga

Con l’audizione dei tre testimoni della pubblica accusa, è entrato nel vivo, ad oltre tre anni di distanza dalla data del rinvio a giudizio – che risale al 25 maggio 2007 -, il processo a carico di sei imputati coinvolti nell’operazione antidroga dei carabinieri di Soverato e Catanzaro, nome in codice «Zefiro». Sul banco degli imputati siedono: Pietro e Salvatore Folino, Rodolfo del Sorbo, Francesco Procopio, Antonietta Scozzafava, e Vitaliano Sinopoli, chiamati rispondere dell’accusa di aver partecipato a un’associazione a delinquere dedita al traffico e allo spaccio di droga, e per questo finiti in manette, a giugno 2006, quando scattò il blitz dei carabinieri. A loro carico, oggi in aula, si sono registrate le dichiarazioni di due carabinieri ed uno dei presunti acquirenti della droga che, sempre secondo le accuse, sarebbe stata smerciata dal gruppo incriminato. Poi il rinvio al 5 ottobre, per l’audizione degli ultimi testimoni. L'inchiesta «Zefiro» fu coordinata dal pm antimafia Gerardo Dominijanni, il quale fece le sue contestazioni sulla scorta di due anni di indagini dei carabinieri, che rappresentarono una «costola» della più ampia inchiesta sfociata nell’operazione «Mythos» diretta contro il clan Gallace-Novella di Guardavalle. Ed infatti proprio uno dei presunti affiliati alla cosca, che al tempo delle investigazioni si trovava ai domiciliari per via del precedente blitz, è stato identificato dagli investigatori come l’organizzatore e il promotore della presunta associazione dedita al traffico di droga. Si tratta del 35enne Piero Folino che, da quella casa di San Sostene in cui si trovava ristretto, avrebbe creato e diretto una rete di corrieri e spacciatori che nel Soveratese, e soprattutto nel periodo estivo, avrebbero smerciato l’hashish, l’eroina e la cocaina reperite nel Reggino grazie ai giusti «agganci». Secondo l’accusa, i corrieri della banda erano Salvatore Folino, di 32 anni, di Catanzaro, studente; Del Sorbo (49), di Montepaone Lido, parrucchiere e la Scozzafava (23), di Catanzaro, studentessa. Francesco Procopio (33), di Davoli, carrozziere; Sinopoli (39), di Catanzaro sarebbero stati tra gli spacciatori. Altre due persone, Francesco Manno e Pierangelo Corapi, sono state condannate con abbreviato, e la Corte d’appello ha ribadito la loro colpevolezza con pene di 9 anni e 4 mesi di reclusione per il primo, e 2 anni e 8 mesi e 12.000 euro di multa per il secondo.


Scena muta di Tripodi e Fraietta nell'interrogatorio di garanzia

SOVERATO - Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, nel corso dell'interrogatorio di garanzia, Maurizio Tripodi e Rosario Salvatore Fraietta arrestati due notti addietro dai carabinieri della compagnia di Soverato, accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsione. Gli indagati, difesi dagli avvocati Salvatore Staiano e Saverio Loiero, hanno preferito non proferire parola dinanzi al giudice Maria Rosaria Di Girolamo. I legali si sono riservati di depositare un'istanza al tribunale della libertà, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza con conseguente scarcerazione. Tra i motivi che i difensori addurranno nell'istanza, figurano quelli relativi all'infondatezza e insussistenza dei gravi indizi contenuti nell'ordinanza di custodia cautelare, cercando di dimostrare la totale estraneità degli arrestati ai fatti contestati. A Tripodi e Fraietta, in base al dossier investigativo redatto dai carabinieri di Soverato, vengono contestati una serie di reati consumati a cavallo degli anni 2003 e 2004. In particolare, a Tripodi viene contestata un'estorsione aggravata dall' utilizzo del metodo mafioso, in concorso con altre persone allo stato non conosciute, ai danni del titolare di un esercizio commerciale di Soverato, consistita nell'indurlo a far cessare l'attività mediante numerosi atti intimidatori con incendi di autovetture di suoi congiunti. L'attività commerciale veniva effettivamente chiusa a seguito delle continue minacce. A Fraietta viene, invece, contestata l'associazione per delinquere di tipo mafioso in seno al "locale di ndrangheta di Guardavalle" poiché interveniva, unitamente ad altri elementi di spicco della famiglia Gallace, al fine di dirimere un contrasto con Vittorio Sia, sorto a causa della perpetrazione di alcuni furti ai danni di soggetti a lui vicini. Fatti che, comunque, non sono stati approfonditi in sede di interrogatorio di garanzia in quanto gli indagati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

(Cesare Barone - Gazzetta del Sud del 24/06/2010)


Monasterace - “Faida dei boschi”, l’interrogatorio del ferito
Cavallaro: «Non so perché mi hanno sparato...»

«Quando hanno cominciato a sparare io ero voltato di spalle, per cui non ho visto chi c'era sulla moto. Ho sentito solo il rumore di una motocicletta da cross. Non riesco, nel modo più assoluto, a dare una spiegazione al mio ferimento: io ho sempre lavorato sodo, non ho mai avuto problemi con nessuno e non ho visto, sentito e detto mai nulla di vicende che sono fuori dalla sfera del mio lavoro e della mia famiglia». In due ore fitte di interrogatorio da parte degli investigatori dei carabinieri della compagnia di Roccella, sono state queste le dichiarazioni, ripetute più volte, del venditore ambulante di acqua, Enzo Cavallaro, 27 anni, di Guardavalle, ferito alla gamba destra con alcuni colpi di pistola in un agguato compiuto sabato scorso a Monasterace, e nel quale è rimasto accidentalmente ferito di striscio al piede destro un giovane di Monasterace, Fabio Ierace, 27 anni, operaio, intento a rifornirsi di acqua da bere dal venditore ambulante, vero obiettivo del sicario. Cavallaro è stato a lungo sentito dai carabinieri subito dopo il suo ricovero all'ospedale di Locri (per lui la prognosi è stata di 25 giorni). Gli investigatori dei carabinieri hanno anche interrogato Fabio Ierace (dimesso ieri dall'ospedale di Locri e giudicato guaribile in 10 giorni): anch'egli, però, non è stato in grado di fornire particolari interessanti. Il duplice ferimento – anche se quello di Ierace è da considerarsi accidentale – potrebbe essere collegato – secondo quanto emerso dalle indagini – alla guerra di 'ndrangheta che dal settembre 2009, ossia dopo l'uccisione a Riace, del patriarca delle Serre, Damiano Vallelunga, leader della cosca dei "viperari" di Serra San Bruno, sta insanguinando i territori al confine tra le province di Reggio, Catanzaro e Vibo Valentia. Un'orribile faida che aveva già seminato terrore e morti ammazzati (una trentina) tra la seconda metà degli anni '70 e la fine degli anni '90, e che ora dopo circa tre lustri di apparente pax è prepotentemente riesplosa. La situazione è talmente pericolosa – hanno accertato gli investigatori dei carabinieri del Gruppo di Locri e delle compagnie di Roccella Jonica, Serra San Bruno e Soverato, che tre giorni fa si sono confrontati in una riunione durata circa tre ore – che diversi affiliati alle cosche in lotta o elementi ritenuti "vicini" ai clan, avrebbero fatto perdere le loro tracce o si sarebbero dotati di auto blindate. Un "clima da piombo", insomma.

(Antonello Lupis - Gazzetta del Sud del 21/06/2010)


Faida dei boschi, due giovani gambizzati
Il bersaglio secondo gli inquirenti era Enzo Cavallaro, 27 anni, nato a Isca e residente a Guardavalle

MONASTERACE - Ci sarebbe, anche stavolta, la cruenta "faida dei boschi" – che ormai da circa due anni e in particolare dopo l'omicidio del carismatico boss e capobastone delle Serre, Damiano Vallelunga, ucciso a Riace il 27 settembre scorso, continua ad insanguinare i territori di ben tre province della Calabria – dietro il duplice tentato omicidio (uno voluto, l'altro accidentale) a colpi di pistola che si è verificato ieri in pieno giorno e in pieno centro a Monasterace, lungo la frequentata e abitata via Perre. Vittime dell'agguato un venditore ambulante di acqua (vero obiettivo dello sparatore), Enzo Cavallaro, 27 anni, originario di Isca sullo Ionio, ma domiciliato e residente da anni a Guardavalle, e un giovane di Monasterace, Fabio Ierace, 27 anni. Cavallaro e Ierace sono stati raggiunti agli arti inferiori dai colpi di pistola calibro 9x21 esplosi da una persona che si trovava a bordo di una moto di grossa cilindrata condotta da un complice. Enzo Cavallaro, vero obiettivo dell'agguato, è stato raggiunto alla gamba destra dai proiettili, mentre Fabio Ierace è stato centrato da un proiettile al piede destro. Dopo il ricovero all'ospedale di Locri e le cure ricevute dai sanitari del Pronto soccorso, Cavallaro è stato giudicato guaribile in 25 giorni, mentre per Ierace la prognosi è stata di 10 giorni. Cavallaro, dopo aver fermato in via Perre, intorno alle 11, il suo camion con annessa cisterna, stava riempiendo d'acqua, com'era solito fare due volte la settimana (mercoledì e sabato), alcune bottiglie del giovane Fabio Ierace. Pochi attimi appena e contro i due sono stati esplosi diversi colpi di pistola da una persona col volto coperto da un casco, che era in sella ad una moto di grossa cilindrata condotta da un complice e anch'egli munito di casco integrale. Vista la direzione dei proiettili e la facilità del bersaglio da colpire, non è escluso – ma si tratta solo di un'ipotesi investigativa tutta ancora da valutare – che chi ha più volte premuto il grilletto della pistola calibro 9x21 non avesse l'intenzione di uccidere Enzo Cavallaro ma solo ferirlo in maniera seria, gambizzarlo. Insomma un pesante avvertimento nei confronti della vittima – che ha alle spalle solo un vecchio precedente per furto – che però, nell'ambito della criminalità organizzata e soprattutto nell'ambito di quanto ormai da mesi si sta verificando in maniera orribile al confine delle province di Reggio Calabria, Catanzaro e Vibo Valentia, nasconde chissà quale messaggio cifrato. Dopo il ferimento dei due giovani i centauri sono spariti senza lasciare traccia. In questa vicenda di sangue, comunque, un altro dato importante, al vaglio degli investigatori dei carabinieri della compagnia di Roccella e della stazione di Monasterace guidati dal ten. Giovanni Orlando (a coordinare, al momento, le indagini è il sostituto procuratore di Locri, Federico Nesso), è rappresentato dal fatto che Enzo Cavallaro, come del resto è riportato anche sulla cisterna collocata sul camion Fiat Iveco della vittima, si riforniva dell'acqua nella località montana "Ferdinandea" al confine tra le tre province calabresi e del comune vibonese di Brognaturo. Si tratta, grosso modo, della stessa zona in cui lunedì scorso, in un altro agguato è stato assassinato a colpi di lupara Salvatore Vallelunga, 51 anni, esponente di spicco dell'omonima cosca di Serra San Bruno nota col nome di "viperari" nonché fratello del mammasantissima Damiano Vallelunga, ucciso a Riace a settembre scorso. E in cui è stato ferito in modo grave un compaesano dello stesso Cavallaro, Santo Procopio, 25 anni, di Guardavalle, l'imprenditore boschivo già vittima di un altro agguato mafioso avvenuto a gennaio scorso nella frazione montana di Elce della Vecchia di Guardavalle. L'uccisione, lunedì scorso, di Vallelunga (prima di lui, nell'ambito delle due fasi della "Faida dei boschi", erano stato assassinati Cosimo e Damiano) ha fatto salire a 10 il numero degli omicidi compiuti nell'ambito della mattanza nel solo 2010; diciotto invece, i "caduti" dall'inizio dello scontro, datato gennaio 2008.

(Antonello Lupis - Gazzetta del Sud del 20/06/2010)


Mitraglietta e lupara per uccidere Salvatore Vallelunga

Per tendere l'agguato e uccidere Salvatore Vallelunga, 51 anni di Serra San Bruno sono stati usati un fucile calibro 12, caricato a pallettoni, e una mitraglietta. Il piombo ha attinto la vittima – fratello di Damiano Vallelunga, boss dei Viperari, assassinato lo scorso settembre a Riace – alla testa, all'addome e al torace provocandone l'immediato decesso. Inoltre, come già ipotizzato, i tempi e i luoghi non escludono che al momento dell'imboscata Salvatore Vallelunga si trovasse in contrada Madda di Brognaturo assieme a Giuseppe Santo Procopio, 25 anni, di Isca, rimasto ferito. A meglio chiarire i contorni della grave vicenda, legata alla faida dei boschi che da oltre un trentennio insanguina i territori a cavallo tra le province di Catanzaro e Vibo Valentia e la vallata dello Stilaro, è stata l'autopsia eseguita nel pomeriggio di ieri dal medico legale Aldo Barbaro sul cadavere del cinquantunenne, deceduto lunedì giorno del ferimento di Procopio ma ritrovato, martedì mattina dai carabinieri in una faggeta. Il ferito, invece, nella stessa giornata dell'agguato era riuscito a raggiungere la strada provinciale e farsi soccorrere. Come già accaduto lo scorso gennaio – quando nella stessa zona fu bersaglio dei sicari – il giovane è stato trasportato all'ospedale civile di Serra San Bruno e poi trasferito ai Riuniti di Reggio Calabria dove è ricoverato in prognosi riservata. Nel corso dei sopralluoghi in contrada Madda di Brognaturo sono state rinvenute dai carabinieri della Compagnia di Serra tracce di sangue lungo una stradina interpoderale che si innesta alla provinciale. Da qui l'ipotesi, oggi certezza, che Procopio e Vallelunga fossero assieme. Intanto prosegue l'attività investigativa – che per quanto riguarda l'imboscata a Vallelunga viene coordinata dal sostituto procuratore di Vibo Valentia Santi Cutroneo – condotta dai carabinieri e dalla polizia. Attività che vede il coinvolgimento della Dda di Catanzaro e Reggio Calabria. E sulla ripresa della faida dei boschi l'on. Angela Napoli interroga il ministro della Giustizia. Nel sottolineare la gravità della situazione per il coinvolgimento di diverse famiglie delle tre province, chiede quali interventi si intendono attuare per potenziare sia l'attività di controllo sui territori interessati dalla faida sia l'attività investigativa per assicurare alla giustizia i responsabili di tale recrudescenza mafiosa.

(Marialucia Conistabile - Gazzetta del Sud del 17/06/2010)


Assassinato il fratello del boss dei Viperari

Salvatore VallelungaBROGNATURO - S'allunga l'elenco dei morti ammazzati a cavallo delle province di Catanzaro e Vibo Valentia. Una sorta di terra di mezzo dove è anche forte l'influenza delle cosche del versante ionico reggino, e sulla quale da circa un trentennio è in atto una cruenta faida. Una terra di confini e di interessi bagnata anche dal sangue di Salvatore Vallelunga, di 51 anni, boscaiolo di Serra San Bruno, fratello di Damiano, il boss dei "Viperari", ucciso il 27 settembre scorso a Riace (Reggio Calabria) davanti al santuario dei santi medici Cosma e Damiano. Salvatore Vallelunga, colpito alla schiena e alla testa dal piombo sparato da circa una trentina di metri da almeno due killer, è morto sul colpo. A ritrovare il cadavere, riverso a faccia in giù in una faggeta, sono stati ieri mattina intorno alle 9,30 i carabinieri del Norm della Compagnia di Serra San Bruno. Un decesso che però, come accertato dal medico legale, risale al giorno precedente e cioè a lunedì. Lo stesso in cui i sicari – praticamente nella stessa zona, compresa tra Brognaturo e Guardavalle – hanno cercato di uccidere, per la seconda volta, Giuseppe Santo Procopio, 25 anni, anch'egli boscaiolo e originario di Isca ma residente a Guardavalle. Il giovane pure in questo caso, sebbene gravemente ferito, è riuscito a sfuggire ai pallettoni che gli sono stati sparati contro. Come era accaduto lo scorso gennaio, anche questa volta Procopio è stato medicato al pronto soccorso dell'ospedale di Serra San Bruno, nel Vibonese, e poi trasferito ai Riuniti di Reggio Calabria. È molto probabile che, al momento dell'agguato, Procopio e Vallelunga si trovassero assieme. Il cadavere del fratello del boss dei Viperari, infatti, è stato rinvenuto a circa cinquanta metri di distanza dal punto in cui una stradina interpoderale si innesta sulla provinciale. Lo stesso in cui sarebbe stato caricato su un'auto Procopio e lungo il quale sono state rinvenute tracce di sangue. Lunedì, dunque, in contrada "Madda" , nelle montagne di Brognaturo, Vallelunga e Procopio si sono ritrovati sulla traettoria degli stessi killer acquattati nella boscaglia con le armi pronte a tuonare. Imboscata che potrebbe rappresentare la pesante "risposta" al duplice omicidio dei fratelli gemelli Nicola e Vito Grattà, di Gagliato (Catanzaro), avvenuto venerdì scorso. Da quanto emerso in contrada "Madda" di Brognaturo, due armi hanno sparato: un fucile calibro 12 caricato a pallettoni e un'arma automatica. Sul posto, infatti, i militari del Norm – coordinati dal cap. Michele Monti, alla guida della Compagnia – e del Nucleo investigativo del Comando provinciale, agli ordini del ten. Domenico Spadaro, hanno rinvenuto sia bossoli calibro 12, caricati a pallettoni, sia di calibro 5,56 oltre a materiale vario, tra cui fazzoletti, che è stato repertato dai militari della sezione investigazioni scientifiche. Sul posto anche l'ispettore Giovanni Cosentino e gli agenti del Commissariato di Serra San Bruno, diretto dal dirigente Onofrio Marcello, già alle prese lunedì con il tentato omicidio di Procopio, sul quale indaga pure la Mobile di Reggio Calabria. Complesse si profilano le indagini sull'assassinio di Salvatore Vallelunga che vengono coordinate dal sostituto procuratore di Vibo Valentia Santi Cutroneo, ma che rientrano nell'ambito di una più variegata attività investigativa di cui la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha assunto il coordinamento, coinvolgendo anche la Dda di Reggio Calabria. Un'indagine tuttavia che risulta al quanto frammentata anche in considerazione dei vari fatti di sangue che si sono susseguiti negli anni – con lunghi periodi di calma apparente – che hanno interessato territori di diverse province, ma che sarebbero da ricondurre a una sola infernale regìa, quella disegnata dai grandi interessi che si muovono sulla fascia di territorio praticamente a cavallo tra tre province. Interessi stuzzicati dai rilevanti appalti pubblici non solo legati ai lotti della Trasversale delle Serre, ma anche alla realizzazione di insediamenti turistici lungo la fascia ionica. Un "piatto" abbastanza forte sul quale allungherebbero le mani sia le famiglie del Catanzarese, sia quelle della Locride e del Vibonese, anche se ancora tutti da decifrare sarebbero i rapporti fra le varie cosche che da anni hanno ingaggiato uno scontro aperto: la faida dei boschi. E gli alberi e il legname in tutta questa lunga storia di morti ammazzati e violenza avrebbero un ruolo del tutto marginale, se non quello di legare – logisticamente parlando – la maggior parte degli agguati e il fatto che il maggior numero di vittime figuravano boscaioli. Insomma la faida dei boschi, perché nei boschi si ammazza e perché nei boschi, a seconda del business da inseguire e seguire, si sono negli anni intrecciate le piste di droga e quelle del traffico di armi. I boschi, dunque, crocevia di traffici e luoghi "ideali" per il regolamento di conti, a colpi di lupara, pistole e kalashnikov. Nella giornata di oggi, comunque, all'obitorio dell'ospedale civile di Vibo Valentia il medico legale, dott. Aldo Barbaro, eseguirà l'autopsia sul cadavere di Salvatore Vallelunga, già ieri sottoposto a un'ispezione esterna dalla quale è emerso l'orario della morte. Esame che potrà fornire ulteriori elementi utili alle indagini soprattutto in relazione alla ricostruzione della dinamica dell'agguato.

(Marialucia Conistabile - Gazzetta del Sud del 16/06/2010)


Agguato a Bognaturo, omicidio collegato alla "faida dei boschi"

(15/06/2010) Un operaio boschivo, Salvatore Vallelunga, è stato ucciso questa mattina a Brognaturo, un centro delle Serre vibonesi. L'agguato è collegato alla cosiddetta "faida dei boschi". La vittima era il fratello di Damiano Vallelunga, assassinato il 27 settembre dello scorso anno a Riace, nel Reggino, davanti al Santuario dei Santi medici Cosma e Damiano, dove era in corso la festa patronale del paese. Damiano Vallelunga era considerato il capo della «cosca dei viperari». Ieri, nell’ambito della stessa faida, sempre a Brognaturo, era stato ferito in modo grave un altro operaio boschivo, Santo Procopio, di 25 anni.
Il cadavere di Salvatore Vallelunga, che aveva 51 anni, è stato trovato in una zona di montagna, in un’area tra i territori di Brognaturo e Guardavalle, tra le province di Vibo e Catanzaro. Secondo le prime indagini condotte dai carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno, Vallelunga è stato ucciso con alcuni di fucile sparatigli da distanza ravvicinata che lo hanno raggiunto alla testa ed al torace. La morte dell’uomo è stata istantanea. Gli investigatori danno per certo il collegamento tra l'omicidio di Vallelunga e la faida dei boschi, non soltanto per il fatto che la vittima fosse il fratello di Damiano Vallelunga. Non si esclude, tra l’altro, che l’omicidio di Vallelunga possa rappresentare la risposta al ferimento ieri, sempre a Brognaturo, di Santo Procopio. 


Tentano di ucciderlo per la seconda volta
Giuseppe Santo Procopio è stato ferito in un agguato a Brognaturo, nel vibonese. A gennaio era rimasto vittima di un fatto analogo

Giuseppe Santo ProcopioCi hanno provato ancora e, questa volta, ci sono andati molto vicino. Ma anche il secondo tentativo di uccidere Giuseppe Santo Procopio, boscaiolo 25enne originario di Isca ma residente a Guardavalle, è andato a vuoto, ieri pomeriggio, dopo quello messo in atto e fallito nello scorso gennaio ad Elce della Vecchia, frazione montana di Guardavalle. Procopio, sposato e con un figlio, si trovava nei boschi di Brognaturo (nel vibonese), dove aveva un cantiere per la lavorazione del legname. Lì, con ogni probabilità, ha trovato qualcuno (una o più persone) che lo attendeva, pronto a far tuonare ancora una volta le proprie armi da fuoco. Almeno cinque i colpi che lo avrebbero attinto: un paio agli arti, mentre altri lo avrebbero raggiunto ad organi importanti. Proprio queste ultime ferite, dopo le prime medicazioni ricevute al pronto soccorso dell'ospedale di Serra San Bruno, hanno spinto i medici a farlo trasferire agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, dove ora si trova ricoverato in prognosi riservata. Secondo le prime valutazioni non correrebbe pericolo di vita ma le sue condizioni sono comunque preoccupanti. Le forze dell'ordine, con gli agenti del commissariato di Serra San Bruno, coordinato dal vicequestore aggiunto Marcello Onofrio, impegnati fino a tarda notte sul luogo dell'agguato, stanno cercando di capire l'impronta del gesto, che potrebbe essere legato alla faida dei boschi. Tra l'altro, Procopio è nipote acquisito di Francesco Muccari, l'operaio 35enne ucciso ad Isca sullo Jonio lo scorso 16 marzo. Compiendo delle riflessioni, quest'ultimo fatto potrebbe non essere direttamente legato agli episodi che hanno insanguinato il basso Jonio catanzarese (da ultimo il duplice omicidio dei gemelli Nicola e Vito Grattà avvenuto a Gagliato, un paesino tra Soverato e Chiaravalle Centrale, venerdì scorso). Procopio non avrebbe infatti legami con cosche del soveratese ma, comunque, il tentativo di ucciderlo dello scorso 26 gennaio e quello di ieri gettano una luce nuova. Già per il precedente tentato omicidio la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro aveva assunto la guida delle indagini. In quell'occasione Procopio era stato raggiunto da diversi colpi di pistola e di fucile caricato a pallettoni al collo, al torace e all'addome, mentre si trovava alla guida del suo fuoristrada (un Mitsubishi Pajero). Sull'accaduto gli inquirenti non tralasciarono alcuna pista, mentre si cercò anche di risalire all'identità della persona che in quella sede aveva soccorso Procopio gravemente ferito, ma ancora cosciente, trasportandolo fino all'ospedale di Serra San Bruno. Le indagini sul tentato omicidio si erano comunque dirette lungo la traccia già incisa sul territorio ionico dagli omicidi avvenuti nell'ultimo anno: quello di Vito Tolone a Vallefiorita, del commerciante Pietro Chiefari a Davoli e quelli di Vincenzo Varano (ad Isca Jonio) e Luciano Bonelli (a S. Andrea Jonio). Gli inquirenti ora stanno valutano ogni contatto che il giovane possa aver avuto negli ultimi tempi, per fare luce su eventuali contatti o amicizie "pericolose" che potrebbero aver messo a rischio la sua vita in un'area teatro della cosiddetta "faida dei boschi".

(Francesco Ranieri - Gazzetta del Sud del 15/06/2010)


Alla base degli omicidi un regolamento di conti tra cosche

Completati i referti medici con gli esami autoptici, le salme di Nicola e Vito Grattà, i fratelli gemelli di 38 anni di Gagliato, freddati venerdì pomeriggio in un circolo ricreativo mentre giocavano a carte, saranno consegnate alle famiglie. I patologici del centro di medicina legale dell'Università Magna Graecia contano di chiudere le pratica entro la tarda mattinata di oggi. Dopodiché, ci saranno i funerali nella chiesa matrice "San Nicola" di Gagliato, che proprio in questi giorni ha ottenuto il nulla osta, dopo alcuni mesi di inibizione ai fedeli in quanto inagibile. Da stabilire la data delle esequie, che con molta probabilità saranno liberi e senza restrizioni da parte della Questura di Catanzaro, non ricorrendo alcuna speciale misura restrittiva. Per i residenti di Gagliato, ma soprattutto per le famiglie dei gemelli Grattà, sono stati tre giorni di calvario. Nicola Grattà, sposato, lascia la moglie straniera e un figlio; Vito viveva nell'abitazione di via Roma assieme con i genitori. Poi un altro fratello più grande, tutti pronti a dare una mano nell'azienda agricola con allevamento di pecore. Per quanto riguarda le indagini il lavoro dei carabinieri della compagnia di Soverato diretta dal capitano Emanuele Leuzzi, viene coordinato dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Tra le tante ipotesi messe in atto dagli inquirenti quella di un regolamento di conti di chiara matrice mafiosa, in quanto i fratelli potevano essere coinvolti in qualche guerra in atto tra le cosche del Basso Jonio e delle Serre. Tesi suffragata dalla modalità di esecuzioni e dal tempismo dei killer giunti a Gagliato in via Regina Margherita a bordo di uno scooter. Uno di essi è sceso e pistola alla mano calibro 9, ha scaricato 8 colpi alla testa dei due pastori, finendoli sul colpo. Alla scena hanno assistito due amici delle vittime, che si trovavano al tavolo da gioco. Gli unici testimoni sentiti dai carabinieri, anche se non è stato possibile redigere alcun identikit, perché il commando indossava i caschi da motociclista, quindi viso coperto. Anche se il bandolo della matassa investigativa è piuttosto complicato e arrivare ai mandanti e all'esecutore del duplice omicidio appare difficile, almeno per il momento. I carabinieri hanno finanche ricostruito la storia dei due pastori che hanno avuto un passato non del tutto cristallino con una serie di reati che si sono lasciati alle spalle.

(Vincenzo Iozzo - Gazzetta del Sud del 14/06/2010)


I gemelli fatti fuori con una sola arma
Sentiti due testimoni che si trovavano nel circolo ricreativo al momento della mattanza. Domani le autopsie

Per gli inquirenti che stanno indagando in maniera attiva sul duplice omicidio di Gagliato, il lavoro è tutto concentrato a dare un volto al killer che ha ucciso i fratelli gemelli Nicola e Vito Grattà entrambi pastori di 38 anni, residenti in via Roma. Non solo gli esecutori materiali che hanno composto il commando di fuoco, ma si punta ad entrare sulle tracce del mandante oppure dei mandanti che hanno preordinato la morte dei pastori che lasciano dei precedenti per vari reati alle spalle. Nessun elemento viene tralasciato da parte dei carabinieri della Compagnia di Soverato a cui sono state affidate le indagini da parte della Procura della Repubblica di Catanzaro, che ha inviato a Gagliato il sostituto procuratore Paolo Petrolo per coordinare il lavoro investigativo, dove prendono parte gli uomini della compagnia e dello speciale squadrone dei Cacciatori. Non è da escludere che i gemelli possano essere entrati nel mirino di qualche cosca locale e che l'omicidio di Soverato, dove è stato ammazzato Vittorio Sia, possa avere qualche collegamento, ma siamo solamente alle primissime battute, e il mosaico da ricostruire è piuttosto complesso perché si lavora anche tra l'omertà della gente. Solamente semplici supposizioni, per tentare di stringere il cerchio sui mandanti su una lista di morti ammazzati che si allunga sempre di più e che comincia a dare i connotati di come certi equilibri nel territorio del Basso Jonio e delle Preserre possano essere oramai saltati. Ai due pastori, ignari della fine atroce, è stato scaricato un intero caricatore di una pistola. A sparare è stata una calibro 9, quella tanto per intenderci utilizzata dalle forze del'ordine, sprovvista di tamburo. Una sola arma. Stando ai rilievi degli uomini della Scientifica di Soverato, i colpi esplosi sono stati in tutto 8, scaricati in maniera precisa, senza esitare verso i corpi dei gemelli. Le parti interessate: la testa ed in parte il torace. Sul pavimento del locale del circolo ricreativo, una pozza di sangue. I fratelli Grattà non hanno avuto scampo. È mancato persino il tempo di sottrarsi alla pioggia di fuoco perché l' uomo che ha sparato ha sbarrato l'unica via di uscita, mentre il secondo complice era in strada ad aspettare la conclusione dell'esecuzione di chiaro stampo mafioso. A meno di 24 ore dal duplice omicidio i carabinieri hanno voluto sentire direttamente in caserma a Soverato i due soli testimoni che in quel momento si trovavo a fianco di Nicola e Vito Grattà e che stavano giocando una briscola a quattro. Il primo è stato G.P. un uomo di 60 anni rimasto lievemente ferito da un colpo di striscio, l'altro è stato tenuto segreto. Nessun indizio certo, nessun identikit si è reso possibile, perché i due che erano a bordo dello scooter indossavano il casco. Il mezzo, trovato dai carabinieri bruciato in contrada Pietà del comune di Petrizzi, è stato oggetto di una serie di accertamenti e di rilievi da parte dei carabinieri. Si punta a qualche intercettazione ambientale, anche se molto potrà venire fuori dal passato delle due vittime. Nel fascicolo dei due pastori ci sino una serie di precedenti con la giustizia: un arresto e una denuncia a piede libero per pestaggio ad un operaio della Schillacium. Roba davvero di poco conto, se si pensa a come è stata architettata la mattanza. Altri approfondimenti sul passato delle vittime hanno fatto emergere che i due negli anni passati erano stati denunciati per associazione a delinquere di stampo mafioso, per detenzione di armi e di sostanze stupefacenti. Addirittura uno dei due fratelli uccisi, la sera del 20 agosto del 1991 si trovava in macchina con chi ha sparato, uccidendolo, l'appuntato dei carabinieri di Soverato Renato Lio. Episodio avvenuto a Satriano in località Laganosa. Uno dei Gratta era stato scagionato, perché al magistrato aveva detto di aver beneficiato di un passaggio da parte del proprietario della macchina responsabile dell'omicidio. I due corpi si trovano a Catanzaro al centro di medicina legale dell'Università Magna Græcia per l'esame autoptico. Con molta probabilità le autopsie verranno completate solamente domani, poi ci sarà la consegna delle salme per i funerali che si terranno a Gagliato, agibilità della chiesa di "San Nicola" permettendo.

(Vincenzo Iozzo - Gazzetta del Sud del 13/06/2010)


La morte nascosta tra le carte da gioco
Un intero caricatore di pistola scaricato sulle vittime. Ferita una terza persona. Nessun altro testimone

Nicola GrattàSi ammazza pure di pomeriggio, in pieno centro cittadino, lungo la via principale. A Gagliato, piccolo centro in provincia di Catanzaro, il commando di fuoco è arrivato poco dopo le 17.30 a bordo di un grosso scooter. Due uomini con il volto coperto dal casco si sono presentati davanti l'ingresso di un circolo privato dove a giocare a carte, seduti ad un tavolo, c'erano delle persone. Il solito appuntamento, tanto per passare qualche ora e divertirsi. L'obiettivo dei killer: i fratelli gemelli Nicola e Vito Grattà, 38 anni, entrambi pastori, residenti in via Roma. Ai due è stato scaricato un intero caricatore di una pistola. A sparare probabilmente è stata una calibro 9. Una sola pistola, stando ad alcune indiscrezioni. I colpi esplosi sono stati 8 o al massimo 9 tutti verso i gemelli. Entrambi sono stati colpiti prima alla testa ed in parte al torace. Non hanno avuto scampo; sono caduti a terra privi di vita. A sparare un solo uomo che ha sbarrato l'unica via di uscita mentre il secondo complice era in strada ad aspettare. Un terzo uomo, sempre di Gagliato, seduto al tavolo di gioco G.P., 60 anni, pensionato è stato ferito lievemente da un paio di pallottole che lo hanno preso di striscio. Il pensionato è stato subito soccorso e portato all'ospedale civile di Soverato per le cure mediche. Per il momento rimane il solo testimone dell'agguato, anche se dovrà riprendersi dal brutto colpo patito. Il circolo si trova lungo la strada provinciale che collega l'area delle Preserre a quella del Basso Jonio. Strada trafficata perché a qualche chilometro si imbocca il brevissimo tratto della "Trasversale delle Serre". Nel momento in cui sono piombati i killer non c'era nessuno in strada. Al duplice omicidio non hanno assistito altri testimoni. Solamente G.P. potrà fornire ulteriori dettagli al delicatissimo compito di svolgere le indagini che sono dirette dal sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro Paolo Petrolo. Sul posto nel giro di pochi minuti sono arrivati i Carabinieri della Compagnia di Soverato con il capitano Emanuele Leuzzi.

Vito GrattàDa Catanzaro è invece giunto sul luogo del duplice omicidio il comandante provinciale, colonnello Claudio D'Angelo, e il comandante del Reparto operativo del Comando provinciale, colonnello Giorgio Naselli; per i primi riscontri medico legali la patologa forense dell'Università Magna Græcia di Catanzaro, Federica Colosimo. Ventaglio delle indagini piuttosto ampio, anche se tutto rimane sotto più stretto riserbo da parte degli inquirenti che non hanno inteso fornire indicazioni sulla possibile pista da battere per arrivare ai responsabili del duplice omicidio. Matrice per il momento oscura anche se non è da escludere che l'azione studiata con estrema attenzione possa essere inquadrata in una sorta di regolamento di conti. A Gagliato a supporto delle indagini sono arrivati quasi tutti i carabinieri delle vicine Stazioni: Cardinale, con il maresciallo Vincenzo Carroccia; Chiaravalle Centrale, con il luogotenente Alfredo Anselmo; Petrizzi, competente per territorio, con il maresciallo Giovanni Corasaniti. Un reparto della Scientifica ha lavorato dentro il circolo nel tentativo di prelevare indizi utili alle indagini. Ci sarà anche il riscontro delle ogive ritrovate e raccolte dentro al locale. Per quanto riguarda invece il lavoro sul territorio, sono stati i carabinieri dello speciale squadrone dei Cacciatori ad eseguire alcune perquisizioni domiciliari, persino in casa dei gemelli Nicola e Vito Grattà, per capire il grado di coinvolgimento con qualche cosca che opera nell'area delle Preserre e del Basso Jonio e che proprio in questo ultimo anno ha deciso di far esplodere conflitti interni e una serie di regolamento di conti. La lista è piuttosto lunga e proprio da questo elenco, potrebbero venire fuori i mandanti del duplice omicidio di Gagliato. In serata si è appreso anche del ritrovamento dello scooter, che è stato bruciato, utilizzato dagli assassini per portare a termine la missione omicida. Sino a tarda sera però tutte le indagini ruotavano attorno alla sfera delle supposizioni. Anche perchè nel cartellino penale dei due figura, secondo quanto si è appreso, un arresto e una denuncia a piede libero per pestaggio ad un operaio della Schillacium. Roba davvero di poco conto, se si pensa a come è stata costruita la mattanza, che ha avuto come finale l'uccisione dei due gemelli, ritenuti i soli obiettivi dei killer. Per questa mattina è previsto l'interrogatorio dell'uomo presente quando si è sparato nel circolo e una verifica sugli episodi che hanno interessato la fascia costiera Jonica, con la lista dei morti ammazzati. Chissà se da questi controlli incrociati possa spuntare un barlume di luce nelle fitte tenebre che avvolgono questo grave fatto di sangue.

(Vincenzo Iozzo - Gazzetta del Sud del 12/06/2010)


Faida nel Soveratese, uccisi due gemelli con precedenti penali

Sono stati uccisi mentre giocavano a carte in un magazzino, in compagnia di una terza persona rimasta ferita in maniera non grave. È questo lo scenario del duplice omicidio che si è consumato questo pomeriggio a Gagliato, un piccolo centro del Catanzarese, non lontano da Soverato. Sotto i colpi di arma da fuoco esplosi da uno o più killer sono rimasti uccisi i fratelli gemelli Nicola e Vito Grattà, 38 anni, già noti alle forze dell’ordine. Un agguato in piena regola, messo in atto da chi conosceva bene le abitudini delle due vittime. Sul luogo dell’agguato stanno operando i Carabinieri della Compagnia di Soverato e del Reparto operativo provinciale di Catanzaro, diretti rispettivamente dal capitano Emanuele Leuzzi e dal tenente colonnello Giorgio Naselli. Secondo le prime ipotesi, l’agguato rientrerebbe nella faida in corso da alcuni mesi nel territorio del Soveratese, a cavallo con le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, e che ha portato a diversi casi di omicidi. Nicola Grattà, avvisato orale di pubblica sicurezza, era finito agli arresti domiciliari lo scorso mese di febbraio, con l'accusa di coltivazione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Sarebbe questo l’ultimo episodio, anche se in passato l’uomo era finito in diverse inchieste giudiziarie. Dopo il duplice omicidio di oggi gli inquirenti hanno avviato una serie di controlli e stanno ascoltando alcune persone che potrebbero avere elementi utili alle indagini. (11/06/2010)


Questa mattina verrà effettuata l'autopsia sul corpo di Giovanni Bruno
Sul luogo dell'agguato le forze dell'ordine non hanno rinvenuto bossoli d'arma da fuoco

Catanzaro - Sarà effettuata questa mattina l'autopsia sul corpo di Giovanni Bruno, il 42enne ucciso presumibilmente da quattro colpi di pistola sabato notte a Vallefiorita. Ieri mattina il sostituto procuratore della Repubblica, Vincenzo Capomolla, titolare delle indagini, ha affidato l'incarico per l'esame al prof. Giulio Di Mizio, patologo forense dell'università "Magna Græcia". L'autopsia servirà a confermare agli inquirenti sia il numero preciso dei colpi che hanno attinto Bruno sia il tipo di arma che è stata utilizzata dai killer per uccidere l'uomo. Anche se, su quest'ultimo punto, gli inquirenti non nutrono grandi dubbi visto che sul luogo dell'agguato non sono stati ritrovati bossoli di arma da fuoco. Nè potrebbe essere verosimile che i killer li abbiano raccolti prima di dileguarsi nel nulla. Il rischio di essere visti, nonostante nel momento del'agguato le condizioni meteorologiche erano proibitive visto che pioveva e c'era vento, era troppo grande.

Intanto, le indagini dei carabinieri del nucleo operativo del comando provinciale, guidato dal colonnello Giorgio Naselli, e dei colleghi della Compagnia di Girifalco, con il luogotenente Pasquale Mendicino, stanno proseguendo per riuscire a individuare esecutori e mandanti dell'omicidio. Chiara la pista imboccata che porta ai complessi equilibri della criminalità organizzata del comprensorio. E non solo. In particolare, gli investigatori ritengono che fosse il braccio destro di Vito Tolone, 54 anni, ucciso in un agguato il 30 gennaio del 2008 nel parcheggio della casa di riposo per anziani a Vallefiorita, dove era responsabile degli acquisti. Proprio dopo la morte del presunto boss locale, bruno avrebbe preso il posto di Tolone nella gestione degli affari illeciti del comprensorio. Gli equilibri però negli ultimi tempi sarebbero saltati al punto tale da portare a una guerra tra cosche non solo nel Soveratese ma anche nel Vibonese e nel Reggino. Centrale in tutta la vicenda l'omicidio di Domenico Vallelunga, di 52 anni, ritenuto il boss dell'omonima cosca di Serra San Bruno ucciso il 27 settembre dello scorso anno a Riace davanti al Santuario dei santi medici Cosma e Damiano dove era in corso la festa patronale del paese. Un passaggio nevralgico a cui è seguito, a distanza di diversi mesi, lo scorso 21 aprile, l'omicidio di Giovanni Vallelonga, di 62 anni, di Caulonia, cugino di Vallelunga, avvenuto a colpi di fucile a Stilo nell'alta locride, ad una quarantina di chilometri da Soverato. Vallelonga era considerato dagli investigatori vicino alla criminalità organizzata della Vallata dello Stilaro sotto il controllo della cosca Ruga-Metastasio. Sempre la zona jonica è stata teatro anche dell'omicidio di Vittorio Sia, capo del "locale" di Soverato ucciso il 22 aprile a colpi di kalashnikov. Sia, considerato dagli inquirenti elemento di spicco della criminalità locale, solo un mese prima era riuscito a sfuggire ad un altro agguato. A completare il quadro l'omicidio di Domenico Chiefari, di 67 anni, boscaiolo, ucciso a Guardavalle l'11 marzo. Chiefari era vicino ad ambienti criminali in una zona dove opera la cosca Novella-Gallace. A distanza di 5 giorni, il 16 marzo, è stato ucciso Francesco Muccari, anche lui legato ad ambienti criminali della zona. Nel quadro da analizzare, gli investigatori non tralasciano l'omicidio di Luciano Bonelli, di 35 anni, avvenuto il 25 luglio del 2009 a Sant'Andrea dello Ionio. Un delitto avvenuto a distanza di 20 giorni dall'uccisione di un suo zio Vincenzo Varano, di 52 anni, ad Isca sullo Jonio.

(Giuseppe Mercurio - Gazzetta del Sud del 18/05/2010)


S'indaga nel passato e nelle conoscenze di Bruno
I carabinieri hanno ricostruito la dinamica dell'agguato. Oggi il conferimento dell'incarico per l'autopsia

Catanzaro - I legami col passato. Ma non solo. Anche gli equilibri tra le cosche. Sono queste le due piste investigative battute dai carabinieri della Compagnia di Girifalco e dai colleghi del reparto operativo provinciale, guidato dal colonnello Giorgio Naselli, che stanno conducendo le indagini sull'omicidio di Giovanni Bruno, 42 anni (e non 55 come si era appreso in un primo momento), freddato a colpi di pistola sabato notte a Vallefiorita, un centro del Soveratese. I militari hanno effettuato nelle scorse ore decine di perquisizioni, sentito diverse persone e hanno ricostruito quanto è avvenuto. Intorno alle 22 Bruno, che era allevatore, proprietario di una latteria e di un negozio in paese dove vendeva i prodotti del suo gregge di pecore, era uscito di casa dopo le 22 per incontrare un amico, nonostante le condizioni del tempo non fossero ottimali. Anzi. Pioggia e vento stavano sferzando il territorio. I killer, con molta probabilità, lo stavano aspettando e hanno fatto fuoco contro di lui. Solo quattro colpi al torace avrebbero colpito l'uomo. A dare l'allarme proprio l'amico col quale doveva incontrarsi poco dopo e che ha trovato Giovanni Bruno a terra in una pozza di sangue. Sul posto è subito giunta un'ambulanza del servizio sanitario "118". Bruno era ancora vivo. I sanitari lo hanno subito sistemato sulla lettiga e sono partiti, in una corsa disperata contro il tempo, verso l'ospedale di Catanzaro dove Bruno è giunto cadavere. Nel frattempo, sul luogo dell'agguato sono giunti i carabinieri della Compagnia di Girifalco, guidato dal luogotenente Pasquale Mendicino, che hanno avviato le indagini. Sul luogo del delitto non è stato rinvenuto nessun bossolo. I killer quindi avrebbero utilizzato una pistola a tamburo. Nessun testimone dell'agguato, viste le condizioni meteorologiche. Il corpo di Bruno è stato già trasportato nel reparto di medicina legale dell'Università "Magna Græcia" dove nelle prossime ore sarà eseguita l'autopsia che sarà effettuata dal prof. Giulio Di Mizio. Questa mattina, con molta probabilità, il conferimento dell'incarico da parte del sostituto procuratore della repubblica di turno, la dott. Alessia Miele. Anche se è quasi certo il passaggio dell'inchiesta alla Direzione distrettuale antimafia. Bruno, secondo gli inquirenti, sarebbe stato un elemento di spicco della criminalità organizzata del comprensorio. In particolare, gli investigatori ritengono che fosse il braccio destro di Vito Tolone, 54 anni, ucciso in un agguato il 30 gennaio del 2008 nel parcheggio della casa di riposo per anziani a Vallefiorita, dove era responsabile degli acquisti. Tolone, sempre secondo gli investigatori, sarebbe stato ucciso da persone vicine alla criminalità di Borgia in quanto avrebbe cercato di inserirsi negli affari illeciti del territorio, sfruttando la faida in atto nella cosca. Le sovrapposizioni del "pizzo" non avranno fatto piacere ai vertici della criminalità di Borgia che lo avrebbero freddato. Da quel momento Bruno avrebbe preso il posto di Tolone alla guida delle attività illecite della sua zona. La criminalità di Borgia, però, in questo omicidio non c'entrerebbe nulla. Piuttosto, secondo gli inquirenti, l'assassinio di Bruno sarebbe da ricondurre agli ultimi fatti di sangue avvenuti nel comprensorio (e non solo). A iniziare da quello di Vittorio Sia, presunto capo del "locale" di Soverato ucciso il 22 aprile a colpi di kalashnikov. Sia, considerato elemento di spicco della criminalità locale, solo un mese prima era riuscito a sfuggire ad un altro agguato. Centrale in tutta la vicenda sarebbe l'omicidio di Domenico Vallelunga, 52 anni, ritenuto il boss dell'omonima cosca di Serra San Bruno, ucciso il 27 settembre dello scorso anno a Riace. Un passaggio nevralgico a cui è seguito, a distanza di diversi mesi, lo scorso 21 aprile, l'omicidio di Giovanni Vallelonga, di 62 anni, di Caulonia, cugino di Vallelunga, avvenuto a colpi di fucile a Stilo. A completare il quadro gli altri delitti: quello di Domenico Chiefari, di 67 anni, boscaiolo, ucciso a Guardavalle l'11 marzo e, a distanza di 5 giorni, quello di Francesco Muccari; quello di Luciano Bonelli, di 35 anni, avvenuto il 25 luglio del 2009 a Sant'Andrea dello Ionio e, a distanza di 20 giorni, l'uccisione di un suo zio, Vincenzo Varano, di 52 anni, ad Isca sullo Jonio.

(Giuseppe Mercurio - Gazzetta del Sud del 17/05/2010)


Omicidio a Vallefiorita Ucciso uomo ritenuto boss 'ndrangheta

Era ritenuto un elemento di spicco delle cosche della zona jonica del catanzarese, Giovanni Bruno, l'uomo ucciso a Vallefiorita. L'uomo raggiunto da sette colpi di arma da fuoco non è deceduto sul luogo dell'agguato, come appreso in precedenza, ma è morto su un'ambulanza nel tragitto verso l'ospedale. Bruno, secondo quanto è stato riferito dagli investigatori, é stato avvicinato dai suoi assassini e colpito in diverse parti del colpo, forse con più armi. Sull'omicidio, che potrebbe incidere sugli equilibri della criminalità locale, indagano i carabinieri della Compagnia di Girifalco. L'omicidio di Bruno è il sesto che si verifica nella zona jonica a cavallo tra le province di Catanzaro e Reggio Calabria dopo le uccisioni, nell'arco di una decina di mesi, di Vittorio Sia, ucciso a Soverato, lo scorso 22 aprile, e di Giovanni Vallelonga, Domenico Vallelonga, Domenico Chiefari e Francesco Muccari.


Nuove leve del narcotraffico, 12 arresti
L'inutile tentativo di fuga del figlio del capobastone. I sequestri di cocaina e marijuana. Le intercettazioni

Reggio Calabria - Come in un fiction televisiva. Quando il giovane figlio del boss ha visto arrivare a casa sua i carabinieri ha cercato di darsela a gambe. I militari, però, l'hanno inseguito, braccato fino a quando, un paio di ore dopo l'hanno stanato nelle campagne di Monasterace e gli hanno fatto scattare le manette ai polsi. L'arresto del ventottenne Giuseppe Cosimo Ruga è stato sicuramente il momento più difficile dell'operazione "Sicurezza", condotta all'alba di ieri dai carabinieri contro i presunti appartenenti a un'organizzazione di narcotraffico attiva nel territorio della vallata dello Stilaro, ai confini della Provincia di Reggio, a cavallo con le province di Catanzaro e Vibo Valentia. Nel corso dell'operazione è stata data esecuzione a un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Kate Tassone, su richiesta del sostituto procuratore della Dda Maria Luisa Miranda. In carcere sono finite undici persone e un'altra ha avuto gli arresti domiciliari. Elemento di spicco tra i destinatari del provvedimento restrittivo è Giuseppe Cosimo Ruga, figlio di Andrea e nipote di Cosimo Giuseppe, i due vertici di una cosca a base familiare storicamente attiva in una delle zone del territorio calabrese più "calde" dal punto di vista criminale. Una struttura criminale che può contare su importanti proiezioni nel centro e nel nord Italia e la cui forza di intimidazione si era estesa anche nel Vibonese, entrando in concorrenza con la cosca Mancuso, una delle più potenti della Calabria. Agli arresti gli investigatori sono giunti indagando sulla faida in atto tra le cosche Ruga-Metastasio e Sia-Procopio, che solo negli ultimi due mesi ha provocato, tra l'alto Ionio reggino e il basso Ionio catanzarese, quattro vittime. Una scia di sangue cominciata, però, nel milanese, con l'omicidio di Carmelo Novella, detto "nuzzo", ucciso a Vittore Olona il 15 luglio del 2007, per arrivare agli ultimi due agguati: quello contro Giovanni Vallelonga, di 62 anni, di Caulonia, ritenuto legato ai Sia, ucciso il 21 aprile scorso nella zona di Stilo, e dello stesso capo della cosca Sia, Vittorio Sia, assassinato il giorno successivo a Soverato. Vallelonga, tra l'altro, era cugino di Domenico Vallelunga, di 52 anni, ritenuto il boss dell'omonima cosca di Serra San Bruno intesa dei "viperari", anch'egli, secondo gli investigatori, legato ai Sia, ucciso il 27 settembre del 2009 davanti al Santuario dei Santi medici Cosmo e Damiano, a Riace, dove era in corso la celebrazione della festa patronale del paese. Agli arrestati di ieri mattina, in ogni caso, non vengono contestate responsabilità in ordine agli omicidi ma solo in relazione al traffico di sostanze stupefacenti. L'operazione "Sicurezza" ha interessato i comuni di Monasterace, Soverato, San Sostene, Satriano, Marina di Gioiosa Jonica e Siderno. Hanno operato i carabinieri del nucleo investigativo di Locri e della compagnia di Roccella Jonica, coadiuvati da personale delle compagnie di Bianco, Locri e Soverato, col supporto di militari dello squadrone eliportato "Cacciatori di Calabria" e di unità cinofile del Goc di Vibo Valentia. Gli arresti hanno rappresentato la conclusione di un'articolata attività d'indagine condotta dalla compagnia di Roccella Jonica e dalla stazione di Monasterace. L'inchiesta durata oltre due anni ha portato alla disarticolazione di un'associazione composta prevalentemente dalla giovani leve della cosca e impegnata nella gestione di un vasto traffico di cocaina e marijuana. Con Giuseppe Cosimo Ruga sono finiti in carcere Cosimo Sorgiovanni, alias "Coscia", 32 anni, Daniele Sorgiovanni, 23 anni, Remo Sorgiovanni, 25 anni, tutti commercianti di Monasterace; Andrea Menniti, 21 anni, Monasterace; Domenico Maiolo, 24 anni, Monasterace; Romano Ponzo Romano, 39 anni, Soverato, commerciante; Antonino Russo, alias "Cinnirata", 41 anni, Bivongi, macellaio; Francesco Leuzzi, 33 anni, Soverato, audio-protesista; Pierpaolo Papaleo, 41 anni, San Sostene; Giuseppe Agresta, 28 anni, Satriano; Domenico Giovinazzo, 27 anni, Siderno, autotrasportatore. Gli arrestati sono ritenuti tutti affiliati, contigui e fiancheggiatori della cosca Ruga. Risultano indagati Giorgio Domenico Candido, alias "Ranieri", 50 anni, Stilo; Maurizio Sorgiovanni, 22 anni, Monasterace; Antonio Muriale, 33 anni, Marina Gioiosa Jonica; Giuseppe Reale, 31 anni, Mammola; Stefano Tedesco, 20 anni, Monasterace. I particolari dell'operazione sono stati forniti in conferenza stampa dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri, insieme con il comandante provinciale dell'Arma colonnello Pasquale Angelosanto, il suo vice, tenente colonnello Carlo Pieroni, il comandante del gruppo di Locri, tenente colonnello Valerio Giardina, il suo vice, maggiore Alessandro Mucci, il comandante della compagnia di Roccella Jonica capitano Vincenzo Giglio, il comandante della stazione di Monasterace, maresciallo Candeloro Sturniolo. Il procuratore Gratteri ha ricordato che in passato la cosca Ruga-Metastasio-Gallace era stata interessata da importanti inchieste della Dda sfociate nelle operazioni "Stilaro" e "Santambrogio" e ha voluto rendere omaggio a un sottufficiale dell'Arma morto prematuramente a causa di una grave malattia, il maresciallo Galotto, ottimo investigatore e autentica memoria storica delle vicende criminali dell'area di confine tra le province di Reggio, Catanzaro e Vibo. Le indagini, avviate nell'agosto 2008, hanno rappresentato lo sviluppo di un'altra attività operativa successiva al danneggiamento a colpi d'arma da fuoco di un'autovettura a Monasterace. I carabinieri sono riusciti a mettere insieme le tessere accertando ruoli e responsabilità in un traffico di cocaina, organizzato da una componente, capeggiata dalla famiglia Sorgiovanni, componente dello stesso "locale" di 'ndrangheta dominato dai Ruga. Durante le indagini i militari dell'Arma hanno arrestato in flagranza di reato sei persone, ne hanno denunciate altre 5, hanno sequestrato circa 500 grammi di cocaina, oltre 200 grammi di marijuana e 4 bilancini di precisione. Non è stato facile per gli investigatori ricostruire l'attività dell'organizzazione. Anche per le le difficoltà legate all'uso, da parte dei presunti associati, di un linguaggio criptico, con termini convenzionali per indicare le sostanze stupefacenti: sacchi di pellet, mangiare, orologi, bracciali, rughetta, bombole di gas, carne di cavallo, cinghiali, buoni pasto, centos, verde, giallo, viola. Per eludere le intercettazioni, inoltre, gli indagati, a seguito di semplici controlli su strada o normali pattugliamenti eseguiti dai carabinieri, si liberavano delle schede telefoniche in uso, sostituendole immediatamente con nuove intestate a persone diverse da loro. Le tradizionali tecniche d'indagine, basate su servizi di pedinamento, osservazione e controllo a distanza, hanno permesso di oggettivare le relazioni interassociative tra gli indagati. L'operazione "Sicurezza" ha visto impegnati complessivamente oltre 100 carabinieri del comando provinciale di Reggio e del gruppo operativo Calabria che, oltre alle 12 misure cautelari, hanno eseguito anche 23 perquisizioni domiciliari e locali nei confronti di altrettanti soggetti legati alla cosca dei Ruga, rinvenendo e sequestrando materiale ritenuto importante ai fini delle indagini.

(Paolo Toscano - Gazzetta del Sud del 08/05/2010)


Tensione tra cosche reggine e catanzaresi
Arrestati 12 narcotrafficanti della ''zona calda''

“Dal punto di vista degli omicidi questa è la zona più calda di tutta la Calabria”. Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, definisce così l’area in cui, all’alba di oggi, i Carabinieri hanno eseguito dodici ordinanze di custodia cautelare verso altrettanti soggetti indagati, a vario titolo, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e altri reati.

La zona è quella dello Stilaro, dei territori di Monasterace, Soverato, Satriano, Marina di Gioiosa Jonica: un’area che si incastra tra la provincia di Reggio Calabria e quella di Catanzaro. L’indagine, sul tavolo del sostituto procuratore Miranda, colpisce alcuni soggetti ritenuti affiliati alla cosca Ruga, operante nel territorio di Monasterace: l’attività degli investigatori inizia nell’agosto 2008, allorquando viene danneggiata, a colpi di pistola, l’autovettura di un uomo ritenuto assai vicino alle cosche del luogo. Le indagini vanno avanti e colpiscono la famiglia Sorgiovanni di Monasterace dedita a un lucroso traffico di cocaina, storicamente gestito dai Ruga. Da sempre, peraltro, le cosche reggine hanno tentato di colonizzare i territori delle altre province, come testimoniato anche dalla celebre “faida delle serre”, tra la cosca Mazzaferro di Gioiosa Jonica, arrivata a insidiare il territorio dei Mancuso di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia.

Ma Nicola Gratteri, che ha la delega sulle indagini che riguardano la zona ionica della provincia di Reggio Calabria, ha fatto riferimento ai diversi omidici, avvenuti negli ultimi mesi, e riconducibili ai contrasti tra le famiglie del luogo: il 15 luglio 2007, a Vittore Olona, in provincia di Milano, viene assassinato Carmelo Novella, detto “Nuzzo”, esponente assai carismatico dell’omonima ‘ndrina operante nel locale di Guardavalle, gestito dalla famiglia Gallace. Il 27 settembre 2009, invece, viene ucciso, sulla pubblica piazza di Riace, Damiano Vallelunga, capo del locale di Serra San Bruno. Da ultimo, andrebbe a inquadrarsi nei contrasti tra le cosche del luogo, anche l’omicidio di Vittorio Sia, freddato a Soverato, nel suo regno, il 22 aprile scorso.

L’operazione, eseguita dai Carabinieri del Nucleo investigativo di Locri, della Compagnia di Roccella Jonica, con l’ausilio delle compagnie di Bianco, Locri, Soverato e il supporto dello Squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, colpisce dunque un territorio già investigato in passato nell’ambito dell’operazione “Stilaro” e dell’operazione “Sant’Ambrogio”, che porta all’arresto di 84 soggetti.

Nel corso delle attività investigative vengono tratte in arresto sei persona in flagranza di reato e sequestrati 500 grammi di cocaina, 200 grammi di marijuana e quattro bilancini di precisione. Le indagini, portate avanti grazie all’intuito dei Carabinieri della stazione di Monasterace, si sono scontrate anche con le difficoltà di decodificare i linguaggi criptici degli indagati utilizzati dagli indagati. La droga veniva indicata come “sacchi di pellet”, “mangiare”, “orologi”, “bracciali”, “rughetta”, “bombole di gas”, “carne di cavallo”, “cinghiali”, “buoni pasto”, “marlboro centos”, “verde”, “giallo”, “viola”.

L’operazione, denominata "Sicurezza". ha visto impegnati oltre cento Carabinieri che, oltre agli arresti, hanno eseguito anche ventitre perquisizioni. Tra i soggetti arrestati vi sono anche diversi rampolli delle famiglie storiche, che, dopo l’arresto o la morte dei padri, avrebbero preso le redini dei rispettivi clan: figura di spicco, secondo gli investigatori, è Giuseppe Cosimo Ruga che, come spiega il Tenente Colonnello Valerio Giardina, si è reso inizialmente irreperibile, venendo poi rintracciato dai militari dell’Arma nelle campagne di Monasterace.

Insomma, la situazione, in quella zona, sembra davvero esplosiva, come testimonia il fatto che alcuni indagati non colpiti dall’ordinanza di custodia cautelare del Gip di Reggio Calabria, non sarebbero stati trovati nelle proprie abitazioni dai Carabinieri. Le tensioni criminali, derivano, come spesso accade, dalle ripartizioni degli affari, in particolare il traffico di stupefacenti, e, quindi, del denaro. Lo stesso Gratteri ritiene che la guerra sia appena iniziata e non esclude la possibilità che si verifichino nuovi fatti di sangue.

I soggetti tratti in arresto:

1.       Ruga Giuseppe Cosimo, classe 1982, di Monasterace (RC), pregiudicato;

2.       Sorgiovanni Cosimo, classe 1978, di Monasterace (RC), commerciante, pregiudicato;

3.       Sorgiovanni Remo, classe 1985, di Monasterace (RC), commerciante;

4.       Sorgiovanni Daniele, classe 1987, di Monasterace (RC), commerciante;

5.       Menniti Andrea, classe 1989, di Monasterace (RC), nullafacente;

6.       Maiolo Domenico, classe 1986, di Monasterace (RC), celibe;

7.       Ponzo Romano, classe 1971, di Soverato (CZ), commerciante, pregiudicato;

8.       Russo Antonino, classe 1969, di Bivongi (RC), macellaio, pregiudicato;

9.       Leuzzi Francesco, classe 1977, di Soverato (CZ), audio-protesista;

10.   Papaleo Pierpaolo, classe 1969, di San Sostene (Cz);

11.   Agresta Giuseppe, classe 1982, di Satriano (CZ);

12.   Giovinazzo Domenico, classe 1983, di Siderno (RC), autotrasportatore.

(Claudio Cordova - Strill.it)


Sia, un boss in ascesa affiliato al clan Costa

Poco noto alla grandi cronache, Vittorio Sia era, invece, al centro delle attenzioni di almeno quattro Direzioni distrettuali antimafia: quelle di Catanzaro, di Reggio Calabria, di Bari e di Milano. Un boss in ascesa al quale il temuto e storico clan dei Costa- Curciarello-Ursino, operante tra Gioiosa Jonica e Siderno, aveva affidato il ruolo di “ambasciatore” in Puglia e Lombardia, nonché delegato ai rapporti con un cartello di narcotrafficanti libanesi con i quali commercializzava non solo droga ma anche armi pesanti ed esplosivi. Un’affiliazione, quella di Vittorio Sia, rivelata già nel 1996 (all’epoca aveva 37 anni) da un rapporto del Ros che lo indica come «affiliato all’organizzazione dei fratelli Costa con il III grado mafioso di “sgarrista”, strettamente legato a Costa Tommaso, capo con il VII grado “mazzettino”; Costa Pietro, affiliato con il III grado mafioso di “sgarrista”; Costa Giuseppe, affiliato con il IV grado mafioso denominato “la santa”, praticamente il vertice della gerarchia mafiosa». Ad inguaiare Vittorio Sia sono alcuni pentiti della Sacra corona unita. Quando ne rivelano il ruolo, Vittorio Sia è da poco finito in carcere. I carabinieri lo avevano tratto in arresto, con un blitz spettacolare, all’alba del 23 marzo 1990. Era in un casolare nelle campagne di Soverato. Si teneva un summit alla presenza di vari “picciotti” e di due superlatitanti, i fratelli Giuseppe e Tommaso Costa. Erano gli unici due della famiglia scampati alla faida di Siderno con la famiglia Commisso che li aveva decimati. Nel casolare i carabinieri troveranno anche una montagna di armi comprese alcune casse di kalashnikov. Finito in carcere insieme ai Costa, era costretto a lasciare la gestione degli “affari” pugliesi al boss locale Pasquale Leone, che in quel periodo «raggiungeva – annotava il Ros - la massima egemonia mafiosa, anche perché entrava in contatto, grazie alle credenziali dategli da Vittorio Sia, con uno dei principali importatori di stupefacenti a livello internazionale, tale Spinella Diego, originario di Seminara, residente in Rovellasca (Co), successivamente ucciso in un agguato». Ad evidenziare ulteriormente il ruolo del Sia, però, si colloca proprio la necessità di attendere che lui torni libero prima di poter mettere in atto un “progetto delicato”: la eliminazione di uno degli uomini politici all’epoca più importanti del Paese: l’onorevole Giuseppe “Pinuccio” Tatarella E già qui incominciano le incredibili “congetture” che consentiranno a Vittorio Sia di lasciare sempre rapidamente il carcere nonostante venga coinvolto in indagini per gravissimi crimini e nonostante cominci a rimediare anche pesanti condanne. Fatto sta che, già a fine 1992, Vittorio Sia è libero e ricomincia i rapporti con Khaled Bayan, il boss libanese con cui importa droga per conto del clan Costa. E con Khaled Bayan viene arrestato ed accusato dell’omicidio di Luciano Tropea, avvenuto a Soverato (Cz) nel 1992. Movente: una partita di droga non pagata. Il processo è ancora in corso. Vittorio Sia ricompare, più recentemente, nelle indagini seguite ad un altro grosso omicidio di mafia. Sempre al fianco dei capi della famiglia Costa, con la quale nel frattempo si è imparentato, finisce tra gli indagati per l’uccisione di Pasquale Simeri, importante componente della famiglia Aquino di Marina di Gioiosa. Un delitto che fece scalpore anche per le modalità di esecuzione: era la sera del 26 luglio 2005, nella centralissima piazza Vittorio Veneto di Gioiosa Jonica e, davanti a decine e decine di testimoni, tra i quali anche donne, giovanissimi e persino bambini (tra questi, il figlioletto della vittima), veniva brutalmente assassinato Pasquale Simari. Così lo descriveranno i carabinieri: «L’assassino, non preoccupandosi di agire a volto scoperto ed alla presenza di numerose persone, rincorreva a piedi la sua vittima – presente in piazza con il figlio e lanciatasi improvvisamente in un disperato quanto inutile tentativo di fuga – ed in corsa esplodeva al suo indirizzo, a rischio di provocare anche altre morti, 9 colpi di pistola cal. 7,65, di cui l’ultimo di grazia alla nuca. Quindi si allontanava tranquillamente a piedi per le vie del paese». Pazienti indagini avranno la meglio sul muro di omertà eretto attorno al delitto, l’esecutore materiale verrà riconosciuto in Tommaso Costa, 51 anni. Suoi coimputati nell’inchiesta risultano Giuseppe Curciarello, Pietro Costa, Bayan Khaled e Vittorio Sia, ma la posizione di quest’ultimo viene stralciata: «Nei suoi confronti si procede separatamente ». L’ultima indagine su Vittorio Sia porta la data del 10 ottobre 2005 ed origina da una informativa dei carabinieri alla Procura antimafia di Catanzaro. È una informativa importantissima perché testimonia la saldatura tra cosche reggine e clan catanzaresi. L’informativa dei carabinieri di Soverato, infatti, denunciava 65 persone «perché responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti ed altro». In tale informativa al vertice dell’organizzazione i carabinieri mettevano Panaia Cosimo Salvatore, Costa Tommaso, Curciarello Giuseppe e Costa Francesco, appartenenti al “locale” di Siderno. Capogreco Sergio, Paciullo Nicola e Zucco Antonio affiliati al clan Cataldo di Locri. Infine Sia Vittorio, Bayan Khaled (inteso “Carlo”), Trombacco Nicola, Di Corso Michele, Papa Paolo, Aprile Nunzio, Bevilacqua Oreste, Catalano Antonio e Di Santo Valentino del “locale” di Soverato. Nel corso di quell’indagine i carabinieri bloccano una lettera di Tommaso Costa con la quale comunica a Bayan di aver saputo che i fornitori di droga romani («avvocato di Roma») sono intenzionati a ritornare a Lucera (Fg), per andarlo a trovare, subito dopo le feste natalizie in quanto nel primo viaggio sono dovuti ritornare indietro. Nel merito i carabinieri annotano: «Importantissima risulta l’affermazione di Costa Tommaso quando riferisce a Bayan Khaled di essere deluso ed arrabbiatissimo con Sia Vittorio in quanto avrebbe dovuto essere lui a mantenere i contatti con i “calabresi”, intendendo i rapporti con i fornitori di droga calabresi, così come gli aveva insegnato negli anni precedenti, cosa che però non ha fatto». Un boss in ascesa, dunque, Vittorio Sia, capace anche di evitare le maglie della giustizia ma non, evidentemente, quelle dei clan nemici che ieri hanno posto fine alla sua scalata al potere mafioso.

(Pa. Po. - Calabria Ora del 23/04/2010)


Ore 6,45: un inferno in Corso Roma

SOVERATO - Corso Roma, ore 6,45. È quella l'ora in cui Vittorio Sia era solito andare a lavoro, in un vicino cantiere edile, a bordo del suo scooter. Anche ieri è stato così. Ma ieri ad attendere l'uomo c'era un "commando" di uomini armati. Gli si sono avvicinati e gli hanno scaricato addosso numerose raffiche di kalashnikov e di fucile calibro dodici. Circa quaranta i bossoli ritrovati sul luogo del delitto. Non ha avuto scampo Vittorio Sia, 51 anni, di Soverato. Il piombo dei sicari lo ha colpito in diverse parti del corpo, uccidendolo. Il suo corpo è rimasto sull'asfalto, in un lago di sangue, mentre il gruppo di fuoco si è dileguato a bordo di un furgone, ritrovato poi bruciato in via Fra' Giacomo, a Marina di Soverato. Nessun testimone. Ovviamente. Un agguato mafioso in piena regola. Lo hanno definito così i carabinieri della compagnia diretta dal capitano Emanuele Leuzzi. Sia, infatti, viene considerata dagli inquirenti una figura non secondaria negli ambienti della criminalità organizzata locale per via del suo coinvolgimento in parecchie vicende giudiziarie. Vittorio Sia, operaio edile - questa la sua professione - era rimasto coinvolto nell'operazione "Mangusta" nel 1999, dove figuravano diverse cosche del vibonese, crotonese e catanzarese, accusate di associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni. Nel 2003 rimase coinvolto nell'operazione "Lettera morta", sfociata con la "Mithos", quando in fase di dibattimento è emerso un collegamento di Sia con Kaled Bayan detto "Carlo il libanese". Del resto, la dinamica dell'agguato, il grande spiegamento di uomini e armi, farebbe pensare ad un movente ben più complesso d'una banale vendetta per questioni personali. In azione sarebbe entrato un gruppo di fuoco composto da più persone che ha agito secondo uno schema ben collaudato, e i kalashnikov hanno vomitato piombo a profusione sul corpo di Sia. Chi ha agito, insomma, voleva essere certo del risultato: la morte del bersaglio. E non ha lasciato proprio nulla al caso. Particolarmente difficile l'attività di repertamento da parte dei Ris di Messina, che hanno per parecchie ore raccolto tutti gli elementi utili al completamento del puzzle criminale. Circa quaranta, come detto, i bossoli ritrovati su corso Roma. Il colpo di grazia sarebbe stato inflitto alla nuca. Un corpo ridotto a brandelli dal piombo. Quasi irriconoscibile. Il patologo forense dell'università Magna Græcia di Catanzaro, Giulio Di Mizio, dopo una prima e sommaria ispezione cadaverica, non si è sbilanciato più di tanto, in attesa dell'esame autoptico. Un delitto per il quale, i carabinieri avranno da lavorare per capire se realmente la vittima avesse dei conti in sospeso con i clan locali. La titolarità delle indagini è affidata alla Procura della Repubblica del Tribunale di Catanzaro dove è stato aperto un fascicolo d'indagine, al momento contro ignoti. L'inchiesta si preannuncia tutt'altro che facile, visti i molteplici collegamenti che legavano la vittima agli ambienti criminali di spessore. Il corpo senza vita di Sia, dopo le formalità, su disposizione del magistrato di turno, Salvatore Curcio, è stato trasportato nell'obitorio del policlinico universitario di Catanzaro dove nei prossimi giorni sarà eseguita l'autopsia, il cui esito, probabilmente, servirà a far chiarire le idee ai carabinieri. Una giornata convulsa per gli investigatori, che si sono concentrati sul ritrovamento del furgone utilizzato dai killer, bruciato in via Fra' Giacomo di Soverato marina. Nel furgone, un Fiorino, sono state rinvenute le armi utilizzate per l'efferato delitto. Anche in questo caso, i militari del raggruppamento investigativo speciale di Messina, hanno raccolto quanto possibile per espletare le indagini. Circa un mese fa, Sia era scampato a un altro agguato. In quell'occasione alcuni colpi d'arma da fuoco gli furono sparati contro mentre si trovava in auto, ma rimase illeso. Per quell'episodio i carabinieri hanno fermato quattro persone con l'accusa di tentato omicidio in concorso, aggravato dall'aver agito per agevolare un'associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione e porto di armi alterate e clandestine, ricettazione.

(Cesare Barone - Gazzetta del Sud del 23/04/2010)


SOVERATO 22/04/2010
Vittorio Sia ucciso in un agguato a colpi di kalashnikov

SOVERATO - Vittorio Sia, 51 anni, boss della 'ndrangheta e' stato ucciso questa mattina in un agguato a colpi di kalashnikov a Soverato. L'uomo, a bordo di uno scooter, stava percorrendo la strada che conduce dalla frazione superiore al centro del paese, quando e' stato affiancato da un'auto dalla quale sono stati sparati numerosi colpi di kalashnikov e di fucile calibro 12. L'uomo e' morto sul colpo. La vettura usata dai sicari e' stata trovata poco dopo, a Soverato, bruciata e con dentro le armi. La vettura era stata rubata nei giorni scorsi a Roccella Ionica, nel reggino. Sia era considerato dagli investigatori uno degli elementi di spicco della criminalità organizzata della zona. Le indagini sono condotte dai carabinieri. Sul luogo dell'agguato si sono recati anche gli investigatori della squadra mobile.

Già un mese fa Vittorio Sia era scampato ad un tentato omicidio, quando alcuni colpi d'arma da fuoco furono sparati contro Sia mentre si trovava in auto, ma l'uomo rimase illeso. Per quell'episodio, i carabinieri, nei giorni scorsi avevano fermato quattro persone, Domenico Todaro (49), il figlio Vincenzo (28), Giovanni Angotti (41), e Daniela Iozzo (28), tutti gia' noti alle forze dell'ordine. Le indagini dei carabinieri della Compagnia di Soverato erano partite dopo il ritrovamento, sul greto del fiume Ancinale, di una Fiat Uno rubata con all'interno una bottiglia di plastica con due litri di benzina, con la quale, presumibilmente, chi l'avevano utilizzata avrebbero dato fuoco al mezzo per eliminare ogni traccia.


22/04/2010
FOTO - Soverato - Incendio distrugge il Lido Marechiaro


Si cercano legami tra gli omicidi che hanno insanguinato la zona
Oggi sarà eseguita l'autopsia. Da chiarire l'esatta dinamica dell'agguato

Si cercano i legami più profondi, quei giusti "fili" che, se ben tirati, potrebbero disfare il pesante velo che, al momento, sembra coprire la micidiale serie di omicidi che ha insanguinato il basso Jonio catanzarese. Dopo la barbara uccisione di Francesco Muccari, il piccolo imprenditore 35enne di Isca sullo Jonio freddato martedì mattina a cento metri dalla sua casa nel centro storico, si è così manifestata una sequenza terribile di delitti, sulla quale la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sta concentrando le proprie energie, unitamente a quelle dei carabinieri impegnati in prima linea sul territorio (Comando provinciale, Compagnia di Soverato e Stazione di Isca). Si ricostruisce la storia di Muccari – in passato, alla fine degli anni Novanta, coinvolto in alcune indagini dell'Arma – mentre si lavora sulle possibili cause e mandanti che hanno portato alla sua uccisione in un agguato di stampo mafioso. Tra l'altro, Muccari era diventato padre di un bimbo da una settimana appena. L'uomo è stato bloccato dai suoi sicari mentre, intorno alle 7.30, si trovava alla guida della sua Fiat Panda. In una strettoia del corso, dove non c'erano vie di fuga, i killer hanno scatenato contro Muccari la loro cieca violenza a colpi di arma da fuoco. Nessuno pare abbia visto né sentito nulla, un aspetto che, certo, non agevola il lavoro investigativo. Dall'esame autoptico che verrà eseguito oggi dal medico legale prof. Giulio Di Mizio, si attendono, intanto, risposte definitive sulle armi utilizzate e sulle traiettorie dei proiettili esplosi dai criminali. Una delle ipotesi è che a sparare siano stati una pistola e un fucile. Se venisse confermata, si potrebbe trattare delle stesse armi (almeno nella tipologia) utilizzate per uccidere, la scorsa settimana (11 marzo) nelle campagne di Guardavalle superiore, un ex bracciante agricolo, il 67enne Domenico Chiefari. Si tratta, in questa fase delle investigazioni, di incastrare ogni dettaglio nella giusta posizione, dando così un quadro il più possibile chiaro di quanto avvenuto sul territorio. Prima di questi due delitti (il 16 gennaio scorso) a cadere sotto i colpi di arma da fuoco, a Davoli marina, era stato Pietro Chiefari, commerciante 53enne originario di Torre di Ruggiero. E prima ancora, il 26 gennaio, c'era stato, ad Elce della Vecchia, frazione montana di Guardavalle, un tentato omicidio ai danni di Giuseppe Santo Procopio, 25enne boscaiolo di Isca, rimasto gravemente ferito. Procopio, tra l'altro, risulta essere un nipote acquisito di Francesco Muccari. Nell'anno appena trascorso, invece, vi fu la terribile sequenza degli omicidi di Vincenzo Varano (52 anni) e Luciano Bonelli (34 anni). I due (zio e nipote) vennero uccisi, il primo, la sera del 3 luglio, il secondo la notte del 24 dello stesso mese. Alcune delle persone coinvolte in questo triste scenario hanno avuto a che fare a vario titolo con inchieste della magistratura o investigazioni dell'Arma: i due Chiefari e Bonelli in Mithos, l'inchiesta della Dda catanzarese contro la cosca Gallace-Novella di Guardavalle; Varano era un ex sorvegliato speciale che da poco aveva lasciato quel regime di pubblica sicurezza, mentre su Procopio (sul cui agguato indaga la Dda) erano in corso degli accertamenti. Insomma, aspetti giudiziari che stanno tutti sul tavolo degli investigatori. E accanto a questi potrebbe anche starci un fascicolo sull'uccisione di colui che era indicato dagli inquirenti come il capo della cosca Gallace-Novella: l'imprenditore sessantenne Carmelo Novella, ucciso nel luglio 2008 a San Vittore Olona (Mi) in un agguato di stampo mafioso. Proprio la sua morte potrebbe aver dato il "la" ad un rimescolamento delle carte criminali sul territorio del basso Jonio, dove la cosca guardavallese aveva ormai da anni attecchito. Di fronte a quella che, oggi, si va ormai configurando come una faida a tutti gli effetti, gli investigatori stanno cercando di capire le dinamiche alla base dello scontro di potere criminale. Due sarebbero le ipotesi al vaglio degli inquirenti, legate alle possibili posizioni dei contendenti: potrebbe trattarsi di dinamiche interne alla cosca, con violenti scontri tra chi vorrebbe porsi a capo del gruppo; oppure potrebbe trattarsi di un attacco esterno, volto ad accaparrarsi le "posizioni migliori" su quello che è ormai un terreno impregnato di sangue.

(Francesco Ranieri - gazzetta del sud del 18/03/2010)


I killer lo hanno freddato a cento metri da casa
Francesco Muccari, 35 anni, era diventato padre da una settimana appena. Si scava nel suo passato

Rapidi e letali. Hanno agito come un terribile veleno i sicari che ieri mattina hanno ucciso a colpi di arma da fuoco Francesco Muccari, piccolo imprenditore 35enne di Isca sullo Jonio. L'uomo, sposato e divenuto padre soltanto da una settimana, è stato freddato in un agguato di stampo mafioso mentre a bordo della sua Fiat Panda si stava recando al lavoro. Erano da poco trascorse le 7.30 e Muccari aveva lasciato la sua casa situata alla fine del corso Vittorio Emanuele, nella zona sud del centro storico. Una volta chiuso l'uscio dell'abitazione, si è innescato il fatale conto alla rovescia della sua vita. Pochi i metri percorsi a bordo dell'auto. Giusto il tempo di raggiungere una sorta di strozzatura del corso dove i sicari – si pensa almeno a due persone – lo attendevano pronti a far tuonare le loro armi. La vittima probabilmente si sarà dapprima vista sbarrare il passo dai delinquenti, venendo poi investito da una terribile scarica di proiettili: si ipotizza l'uso di un fucile caricato a pallettoni e di una pistola, armi che hanno avuto un effetto devastante. L'esecuzione deve essersi svolta in tempi brevissimi. L'agguato, infatti, si è verificato pur sempre nel centro abitato. Da lì, le vie di fuga non sono molte. Con ogni probabilità, i killer sono fuggiti attraverso alcune campagne vicine, per raggiungere qualche stradina interpoderale limitrofa al luogo del delitto. Una scelta dettata dal timore che, forse, percorrendo la strada provinciale che collega il centro storico con la marina, qualcuno avrebbe potuto notarli. Tante le supposizioni, ora al vaglio della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che coordina le indagini dell'Arma, chiamata a far luce su un delitto che colpisce un territorio già seriamente ferito da recenti gravissimi fatti di sangue avvenuti nel giro di meno di un anno. I militari del Reparto operativo provinciale e quelli della Compagnia di Soverato avranno certamente chiavi di lettura da utilizzare per fare luce sul delitto.

I colonnelli Claudio D'Angelo, comandante provinciale della Compagnia carabinieri, e Giorgio Naselli, comandante del Reparto operativo, assieme al capitano Emanuele Leuzzi, comandante della Compagnia di Soverato, e al maresciallo Sandro Pagano, comandante della Stazione di Isca, hanno preso in considerazione ogni dettaglio utile alla ricostruzione dello scenario. A supporto delle indagini ci saranno poi i reperti raccolti dagli uomini del Reparto investigazioni scientifiche, impegnati ad analizzare un luogo del crimine disseminato di particolari.

Il punto dove l'agguato ha preso forma è stato studiato con cura dagli esecutori del delitto: percorrendolo in auto non c'è infatti alcuna via di fuga. Muccari dovrebbe essere stato colpito sia di lato che di fronte, almeno osservando i fori lasciati sulla carrozzeria dell'auto, anche se su questo aspetto potrebbe già dare un contributo la prima ricognizione eseguita in loco dal medico legale prof. Giulio Di Mizio. Gli inquirenti cercano però anche la collaborazione della cittadinanza. Fino ad ora, nessuno pare abbia visto né sentito nulla. Il sostituto procuratore Alessia Miele, in quanto pm di turno, ha raggiunto al mattino il luogo del delitto, il cui fascicolo si trova ora sul tavolo del sostituto procuratore della Dda catanzarese Vincenzo Capomolla. L'omicidio di Muccari, - che nella seconda metà degli anni Novanta aveva anche avuto un'esperienza amministrativa come consigliere comunale di opposizione e sarebbe poi stato coinvolto in piccoli episodi - dovrebbe infatti andare ad inserirsi nella tragica saga legata alla criminalità organizzata che in questi ultimi mesi sta andando "in onda" nel basso Jonio. A cadere sotto i colpi di arma da fuoco sono non solo persone legate in maniera stretta a famiglie criminali – la cosca Gallace-Novella nasce a pochi chilometri di distanza – ma anche uomini che, in qualche maniera, sono entrati nella loro orbita o sono stati lambiti da inchieste sulla criminalità organizzata. Tutti attori involontari di uno scontro che di giorno in giorno si scopre sempre più sanguinoso.

(Francesco Ranieri - gazzetta del sud del 17/03/2010)


Tentato omicidio, in carcere 3 arrestati La donna incinta resta ai "domiciliari"
Il gruppo di fuoco avrebbe attentato alla vita di un pluripregiudicato

Soverato - Restano in carcere tre delle quattro persone arrestate dai carabinieri di Soverato, venerdì scorso. Lo ha deciso il gip Assunta Maiore (cancelliere Giuseppe Zarola) che ha convalidato il fermo di indiziato di reato e confermato la custodia cautelare in carcere a carico di Domenico Todaro, 49 anni, il figlio Vincenzo di 28 residenti a Soverato e Giovanni Angotti di 41 anni originario di Montauro. Per Daniela Iozzo, 28 anni di Gagliato, il gip ha confermato la custodia cautelare agli arresti domiciliari, considerato che la donna è in stato di gravidanza. Le persone arrestate sono state difese dagli avvocati Fabrizio Costarella, Bruno Napoli e Cristiano Nuzzi. Per tutti l'accusa è di tentato omicidio in concorso, detenzione e porto di armi alterate e clandestine, ricettazione. Le operazioni di intelligence dei carabinieri della Compagnia di Soverato, diretta dal capitano Emanuele Leuzzi, erano partite dopo il ritrovamento nella mattina di giovedì scorso di una Fiat Uno, risultata rubata, nel greto del fiume Ancinale. Il ritrovamento è frutto di un accurato controllo del territorio messo in atto in seguito agli ultimi fatti di sangue, dai militari di Soverato insieme ai colleghi della compagnia speciale di Vibo Valentia. Nell'auto era stata trovata una bottiglia di plastica con due litri di benzina, con la quale probabilmente coloro che l'avevano utilizzata avrebbero dato fuoco al mezzo per eliminare ogni traccia. Nelle vicinanze dell'auto sono stati trovati anche due fucili calibro dodici con le canne mozzate e caricati con cartucce a pallettoni. Gli investigatori hanno intuito che la macchina era stata utilizzata per qualche missione omicida e che era stata abbandonata precipitosamente nel tentativo di nasconderla. Da qui, la decisione di avvisare gli specialisti della sezione investigazioni scientifiche del Comando provinciale di Catanzaro. Intervenuti, avevano trovato sull'auto diverse tracce e indizi che gli avevano permesso di indirizzare subito le indagini su una pista precisa. Era iniziata una "caccia all'uomo" e in poche ore i carabinieri identificarono e fermarono, nelle rispettive abitazioni, i presunti responsabili. A casa dei due Todaro, i carabinieri avevano ritrovato anche una pistola Beretta calibro 7.65 con matricola abrasa, una pistola scacciacani priva del tappo rosso, una decina di cartucce calibro 7.65 ed una ventina calibro 12, dello stesso tipo caricate nei fucili ritrovati. Nel quartier generale di piazza Lio, i quattro soggetti sospettati sono stati interrogati, e i militari dell'Arma hanno potuto ricostruire l'esatta dinamica. In base alla ricostruzione dei militari, Vincenzo Todaro e Giovanni Angotti, aiutati da Domenico Todaro e da Daniela Iozzo, rispettivamente palo e autista, nelle prime ore di giovedì hanno cercato di attentare alla vita di un pluripregiudicato della zona nel borgo di Soverato. L'azione è però fallita, nonostante i presunti sicari abbiano sparato due colpi di fucile verso l'auto guidata dalla loro vittima, e i quattro sono stati quindi costretti alla fuga finita nel greto dell'Ancinale, dove hanno abbandonato l'auto. Il fermo era stato firmato dal sostituto della Dda di Catanzaro Vincenzo Capomolla.

(Cesare Barone - gazzetta del sud del 16/03/2010)


Soverato - Le indagini sono partite dal ritrovamento dell'auto usata per la missione
Tentato omicidio in concorso Quattro finiscono in manette

SOVERATO - Sono quattro le persone finite in manette al termine della brillante operazione dei carabinieri della Compagnia di Soverato, diretta dal capitano Emanuele Leuzzi. Si tratta di Domenico Todaro, 49 anni, Vincenzo Todaro (figlio di Domenico), 28 anni, entrambi residenti a Soverato, Giovanni Angotti, 41 anni di Montauro e Daniela Iozzo, 28 anni di Gagliato. Per tutti l'accusa è di tentato omicidio in concorso, detenzione e porto di armi alterate e clandestine, ricettazione. Le operazioni di intelligence degli uomini del capitano Leuzzi erano partite dopo il ritrovamento nella mattinata di giovedì scorso di una Fiat Uno, risultata rubata, nel greto del fiume Ancinale. Il ritrovamento è frutto di un accurato controllo del territorio messo in atto dopo i recenti fatti di sangue dai militari di Soverato insieme ai colleghi della compagnia speciale di Vibo Valentia. Nell' auto, ancora accesa al momento del ritrovamento, è stata trovata una bottiglia di plastica con due litri di benzina, con la quale probabilmente coloro che l'avevano utilizzata avrebbero dato fuoco al mezzo per eliminare ogni traccia. Nelle vicinanze dell'auto sono stati trovati, accuratamente nascosti, anche due fucili calibro 12 con le canne mozzate e caricati con cartucce a pallettoni. Gli investigatori hanno intuito che la macchina era stata utilizzata per qualche azione di fuoco e che era stata abbandonata precipitosamente nel tentativo di nasconderla. Da qui, la decisione di avvisare gli specialisti della Sezione investigazioni scientifiche del comando provinciale di Catanzaro. Intervenuti, hanno trovato sull'auto diverse tracce e numerosi indizi che gli hanno permesso di indirizzare le indagini su una pista precisa. Inizia la "caccia all'uomo" e in poche ore i carabinieri identificano e fermano, nelle rispettive abitazioni, i quattro presunti responsabili. A casa dei due Todaro, i carabinieri, nel corso di una perquisizione, hanno ritrovato una pistola Beretta calibro 7.65 con matricola abrasa, una pistola scacciacani priva del tappo rosso, una decina di cartucce calibro 7.65 ed una ventina calibro 12, dello stesso tipo caricate nei fucili ritrovati. Nel quartier generale di piazza Renato Lio, i quattro sospettati, sono stati sottoposti ad interrogatorio, all'esito del quale i militari dell'Arma hanno potuto ricostruire la dinamica dell'accaduto. Secondo la loro ricostruzione, Vincenzo Todaro e Giovanni Angotti, aiutati da Domenico Todaro e da Daniela Iozzo, rispettivamente palo e autista, nelle prime ore di giovedì mattina hanno cercato di attentare alla vita di un pluri-pregiudicato della zona tra le stradine del borgo di Soverato Superiore. L'azione di fuoco è però fallita, nonostante i due presunti sicari abbiano sparato due colpi di fucile verso l'auto guidata dalla vittima "designata". I quattro sono stati quindi costretti ad una precipitosa fuga finita nel greto del fiume Ancinale, dove hanno abbandonato l'auto. Dopo le formalità di rito, i tre uomini sono stati tradotti in carcere a Catanzaro, la ragazza ai domiciliari, in quanto è in stato di gravidanza. Il provvedimento di fermo per tentato omicidio in concorso, è stato firmato dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Vincenzo Capomolla.

(Cesare Barone - gazzetta del sud del 14/03/2010)


Omicidio Chiefari, si indaga sul passato dell'ex bracciante
Gli investigatori cercano eventuali legami con altri recenti omicidi

Catanzaro - È una macchina investigativa in piena corsa quella guidata dagli inquirenti che indagano sull'omicidio di Domenico Chiefari, il bracciante agricolo 67enne ucciso nelle campagne di Guardavalle Superiore giovedì mattina. Oltre all'attività svolta dai militari sul territorio, alla ricerca di eventuali tracce e del mezzo utilizzato dal gruppo di fuoco per portare a termine la missione omicida, negli uffici della Compagnia carabinieri di Soverato si è svolto un incontro operativo tra la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che coordina le indagini con il sostituto procuratore Vincenzo Capomolla, il Reparto operativo provinciale dei carabinieri e la Compagnia di Soverato. La loro attività si sarebbe rivolta non solo a fare il punto sulla situazione ma potrebbe aver anche avuto la funzione di raccogliere ulteriori elementi tramite degli interrogatori. Come sempre, il riserbo che circonda l'attività è massimo e, a questo punto del lavoro investigativo, è anche ovvio che non trapeli nulla sulla direzione presa dalle indagini. La vita di Chiefari, crivellato da diversi colpi di arma da fuoco mentre si trovava alla guida del suo fuoristrada, viene passata ora al setaccio e anche i suoi possibili contatti con il mondo della criminalità del luogo – Guardavalle è il luogo d'origine della cosca Gallace-Novella – stanno sul tavolo degli inquirenti. Chiefari era stato lambito nel 1994 da alcune indagini dei carabinieri, assurgendo agli interessi degli investigatori anche nell'ambito dell'inchiesta Mithos, condotta dalla Dda catanzarese (con l'allora sostituto procuratore Gerardo Dominijanni). Una delle strade che probabilmente gli investigatori stanno battendo è senz'altro quella tracciata dagli altri omicidi che hanno macchiato il territorio del basso Jonio: a ritroso, il più recente è quello del commerciante Pietro Chiefari (nessun legame parentale con il bracciante agricolo), ucciso a Davoli Marina lo scorso 16 gennaio. Nel luglio 2009, gli omicidi di Vincenzo Varano e Luciano Bonelli (zio e nipote), freddati il primo ad Isca il 3 luglio, il secondo a S. Andrea Marina il 24 dello stesso mese. L'anno precedente, il 12 agosto, era toccato al ruspista originario di Stignano (Rc) Cosimo Ierinò, ucciso nel porto di Badolato, mentre, ancora a ritroso, il 30 gennaio a Vallefiorita era caduto sotto numerosi colpi di arma da fuoco il 54enne Vito Tolone. Intanto, si attende ora l'esito dell'autopsia, il cui incarico è stato dato al patologo forense prof. Giulio Di Mizio, coadiuvato dalla collega Federica Colosimo, che giovedì mattina (sul luogo del delitto) hanno fatto una prima ricognizione sul cadavere di Chiefari. E nel frattempo, i familiari attendono di poter avere il corpo del loro congiunto - i quattro figli residenti fuori regione sono rientrati - in attesa delle esequie che si terranno probabilmente nel centro storico di Guardavalle.

(Francesco Ranieri - gazzetta del sud del 13/03/2010)


Guardavalle - Crivellato di colpi al volante dell'auto
Domenico Chiefari è stato affrontato su una stradina di campagna intorno alle 7.30

Probabilmente ne studiavano da tempo abitudini e spostamenti, per evitare eventuali falle nel loro piano delittuoso, e non hanno esitato a mettere a frutto questo "studio" per porre brutalmente fine all'esistenza di Domenico Chiefari, bracciante agricolo ed ex boscaiolo 67enne freddato ieri mattina a Guardavalle. I suoi assassini hanno compiuto un omicidio che realizza l'ennesimo squarcio criminale su un territorio, quello del basso Jonio catanzarese, colpito duramente negli ultimi anni da eventi legati alla criminalità organizzata. E su quest'ultimo gli inquirenti indagano per verificare con certezza la matrice, anche se è la Direzione distrettuale antimafia della Procura di Catanzaro a coordinare le indagini. Stando ai primi elementi raccolti sul posto, la missione omicida è stata messa in atto nelle campagne collinari della cittadina ionica intorno alle 7.30. Un orario nel quale Chiefari era solito recarsi in un appezzamento di terreno di sua proprietà, in località Bonsignana della vicina S. Caterina Jonio. Il tragitto era sempre lo stesso: dalla propria abitazione, l'uomo imboccava l'arteria provinciale che collega il centro di Guardavalle con il borgo di S. Caterina, attraversando diverse aree agricole, tra le quali quella di Chiefari. Ieri mattina, però, la sua corsa è stata bruscamente interrotta all'altezza di località Cisana di Guardavalle. Qui, una serie di colpi di arma da fuoco lo ha raggiunto mentre si trovava alla guida del proprio fuoristrada, un vecchio Dahiatsu Feroza. I killer - l'ipotesi più accreditata è quella di più persone e più armi, vista la massa di piombo esplosa sul posto e gli effetti sull'auto e sul corpo dell'uomo - probabilmente erano appostati in un casolare abbandonato, posto proprio sul ciglio della strada. Da quel punto, in effetti, si può osservare l'intero tracciato stradale senza essere notati. Dunque, constatato l'avvicinarsi del fuoristrada di Chiefari, il commando si è portato all'esterno, sorprendendo il 67enne che non ha potuto nemmeno tentare di darsi alla fuga, rimanendo vittima della pioggia di proiettili che hanno prima crivellato la carrozzeria e i vetri dell'autovettura, ferendolo mortalmente. I proiettili, si ipotizza circa una decina, sono stati esplosi sulla fiancata del lato passeggero dell'auto. Poi, una volta arrestato il mezzo, altri colpi sono stati esplosi contro il parabrezza, uno dei quali in linea con il posto di guida, quasi come se i killer avessero voluto "finire" Chiefari. Di colpo, dopo il martellamento delle armi da fuoco (si pensa all'utilizzo simultaneo di pistola e fucile caricato a pallettoni) sulla località è calato nuovamente il silenzio della campagna, che ha avvolto la fuga del gruppo di fuoco. A scoprire il cadavere di Domenico Chiefari è stato un uomo che passava per caso proprio da quella strada: notato il fuoristrada fermo in piena curva, il passante si è avvicinato facendo così la macabra scoperta. Una volta avvisate le forze dell'ordine, la zona è stata blindata. I carabinieri hanno avviato serrate indagini e controlli a tappeto in tutta l'area. Un elicottero dell'Arma ha sorvolato il comprensorio alla ricerca di possibili mezzi sospetti abbandonati, mentre sul posto i militari del Reparto operativo del Comando provinciale, guidati dal colonnello Giorgio Naselli, i colleghi della Compagnia di Soverato, guidati dal capitano Emanuele Leuzzi, gli uomini del Reparto investigazioni scientifiche e i militari della stazione di Guardavalle hanno effettuato i primi rilievi e tentato una possibile ricostruzione dell'accaduto. Le indagini sono coordinate dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Vincenzo Capomolla. Di Chiefari, sposato e con quattro figli (tutti residenti fuori regione), non si sa molto e gli inquirenti non si sbilanciano affatto. L'uomo avrebbe avuto in passato un qualche "contatto" con ambienti legati alla malavita - si è, tra l'altro, proprio nel cuore del territorio dove ha allignato la cosca Gallace-Novella - ma a parte questo, va anche valutato l'eventuale collegamento con gli altri omicidi avvenuti di recente nel soveratese. L'ultimo è quello di Pietro Chiefari, commerciante originario di Torre di Ruggiero ucciso a Davoli lo scorso 16 gennaio. Proprio rispetto a tale omicidio, però, gli inquirenti escluderebbero collegamenti (né vi sono vincoli di parentela). Gli inquirenti preferiscono in queste ore puntare l'attenzione su eventuali legami con altri omicidi: quello di Vito Tolone nel gennaio 2008, di Vincenzo Varano il 3 luglio 2009, di Luciano Bonelli il 24 luglio 2009. Tutti questi, infatti, sono in qualche modo legati al filo conduttore dell'operazione Mithos, l'indagine della Dda catanzarese proprio sulla cosca Gallace-Novella. Vicenda giudiziaria nella quale, comunque, Domenico Chiefari non era stato coinvolto. Per avere un quadro complessivo della situazione e dei possibili collegamenti, però, non va dimenticato un agguato avvenuto nel territorio di Guardavalle lo scorso 26 gennaio, nella frazione montana di Elce della Vecchia, nel quale è stato gravemente ferito il 26enne Giuseppe Santo Procopio. Un tentato omicidio sul quale indaga la Dda catanzarese.

(Francesco Ranieri - gazzetta del sud del 12/03/2010)

VIDEO - Boscaiolo ucciso in un agguato a Guardavalle


Uccide la convivente col cavo della Tv
«Ero convinto che avesse un amante»

Soverato - Ha ucciso per gelosia, perché convinto che la convivente avesse un amante. È questo, secondo il racconto fatto agli investigatori, il movente che ha spinto all'omicidio Giuseppe Voci, 56 anni, originario di Montepaone, piccolo centro del catanzarese, autotrasportatore in Svizzera, che sabato sera a Bellagio, nel comasco, dopo un litigio, ha strangolato Anna Maria Chesi, 48 anni, infermiera in una casa di riposo della zona. Il delitto è avvenuto nella casa in cui i due convivevano, in via Neer. In realtà Voci vi trascorreva soltanto i week end, dal momento che il lavoro nella Svizzera interna (cantone Turgovia) lo occupava interamente negli altri giorni della settimana. Entrambi avevano alle spalle un matrimonio, dei figli e un divorzio: già nelle ultime settimane erano emersi tra i due problemi per via delle scenate di gelosia. L'ultima discussione, trasformata in tragedia, sabato all'ora di cena. In base al racconto fornito dagli inquirenti, l' infermiera ha sempre negato di avere altre relazioni. Ma ciò non è bastato, tanto da far scatenare nel camionista la furia omicida, un raptus improvviso. Ha strangolato la donna con il cavo della televisione e poi l' ha lasciata priva di vita sul letto. È, quindi, uscito di casa e in tarda serata, dopo essersi consultato con i figli, si è presentato dai carabinieri di Oggiono accompagnato dal suo avvocato, dove ha raccontato le circostanze e le motivazioni del suo gesto. La Procura della Repubblica di Como ha emesso un decreto di fermo a carico del cinquantacinquenne, che ora si trova ora in carcere con l'accusa di omicidio volontario. La tragica notizia, è giunta a Montepaone, paese originario di Voci, alle prime luci dell'alba di ieri, lasciando di stucco l'intera comunità. L'autotrasportatore è conosciuto come una persona pacata e dal carattere mite. Gli amici lo hanno descritto come un uomo esemplare che non ha mai dato adito a comportamenti instabili. Voci, ha lasciato Montepaone circa quindici anni fa, per trasferirsi in Lombardia per motivi di lavoro. Ieri in giornata, il fratello più grande, pensionato, insieme ad alcuni cugini hanno preso il primo volo per Milano, per andare a trovare il congiunto, increduli per l'insano gesto. Il camionista, veniva di tanto in tanto, soprattutto, in occasione delle feste per trascorrerle con i parenti nella casa natale di contrada "Timponello" a Montepaone Lido. Per tutta la giornata di ieri, nel piccolo centro della provincia di Catanzaro, non si parlava d'altro che del brutto episodio avvenuto in provincia di Como. Sul volto di amici e conoscenti tanta incredulità e sgomento, considerato il carattere irreprensibile di Voci. Anche il sindaco di Montepaone, Massimo Rattà lo ha descritto come persona loquace, socievole e di buona famiglia.

(Cesare Barone - gazzetta del sud del 08/03/2010)


Omicidio Chiefari Gli inquirenti svolgono un briefing operativo negli uffici della Dda
Eseguita l'autopsia sul corpo del commerciante I funerali si terranno a Chiaravalle oggi alle 15.30

Catanzaro - Il punto sull'omicidio di Pietro Chiefari, il commerciante assassinato sabato scorso a Davoli Marina, è stato fatto ieri mattina negli uffici della Procura della Repubblica di Catanzaro. All'incontro di vertice tra coloro che stanno conducendo le indagini su un delitto efferato e spavaldo nella sua esecuzione, messo in atto intorno alle 19 in pieno centro abitato e sulla statale 106, hanno partecipato il Procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo, il procuratore aggiunto Salvatore Murone, il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia (Dda) Vincenzo Capomolla, il comandante provinciale dei carabinieri, colonnello Claudio D'Angelo, il comandante del Norm, tenente colonnello Giorgio Naselli, e il capitano della compagnia di Soverato, capitano Emanuele Leuzzi. Nulla è trapelato sugli esiti della riunione, secretata come ogni altro atto relativo all'inchiesta in corso. Stessa sorte "top secret" per quanto riguarda l'autopsia eseguita ieri sul corpo di Chiefari da parte del dottor Giulio Di Mizio, dell'Istituto di medicina legale dell'Università Magna Graecia di Catanzaro. Oggi alle 15.30, invece, si terranno i funerali nella Chiesa matrice di Chiaravalle Centrale. Intanto, l'attività investigativa, dopo la riunione di ieri mattina, prosegue la sua marcia di ricostruzione dell'omicidio. Uno degli elementi dubbi è quello legato al numero del gruppo di fuoco: un solo killer o più d'uno? Su questo farà luce senz'altro l'analisi degli elementi raccolti sul luogo del delitto: l'auto di Chiefari e le vetrine del suo negozio di frutta e verdura, perforate dai proiettili esplosi. Pare, comunque, che le armi utilizzate siano state due, forse un fucile caricato a pallettoni e una pistola. Qualora questa ipotesi venisse confermata, chiaramente, cadrebbe la teoria del killer solitario. A questo punto, però, c'è anche da affrontare il capitolo "logistica", cioè come il o i sicari abbiano effettuato i loro spostamenti, per giunta senza essere visti da nessuno. Probabilmente, nel buio di una strada posteriore al fabbricato che ospita il negozio della vittima, sarà stata parcheggiata un'autovettura o un altro mezzo da utilizzare per la fuga. Così, una volta portata a termine la terribile missione, gli esecutori potrebbero essersi dileguati indisturbati e non visti da alcuno. Importante è anche la comprensione dell'ambiente all'interno del quale è maturato il delitto. Dunque, capire chi possano essere i mandanti e il loro movente. Senz'altro, gli inquirenti staranno tenendo d'occhio gli elementi che potrebbero collegare i recenti eventi delittuosi che hanno colpito duramente tutto il territorio della provincia nel corso di questi ultimi anni. Quel filo d'Arianna che potrebbe essere rappresentato, ad esempio, dall'inchiesta Mithos, condotta dalla Dda catanzarese contro la cosca Gallace-Novella di Guardavalle. Infatti, gli omicidi di Vito Tolone a Valle Fiorita (31 gennaio 2008), di Vincenzo Varano ad Isca Jonio il 3 luglio 2009, di Luciano Bonelli (nipote di Varano) ucciso pochi giorni dopo (il 24 luglio) a S. Andrea Jonio e quest'ultimo a danno di Pietro Chiefari hanno colpito persone a vario titolo coinvolte nell'inchiesta della Dda.

(Francesco Ranieri - gazzetta del sud del 19/01/2010)


Sparano in orario di punta, ma nessuno ha visto nulla

«Sembravano facce di ciechi, senza sguardo». Leonardo Sciascia, ne "Il giorno della civetta", definiva così i volti dei testimoni che avevano assistito ad un omicidio ma del quale parevano aver rimosso ogni dettaglio. E si rischia un caso del genere anche nell'omicidio di Pietro Chiefari, il commerciante 51enne (originario di Torre di Ruggiero ma residente a Pilinga di Gasperina) freddato a colpi d'arma da fuoco sabato scorso a Davoli Marina. L'uomo, che lascia la moglie e due figli in tenera età, è stato ucciso accanto al suo negozio, nel tardo pomeriggio. Tutti hanno sentito gli spari – quattro è il numero più ricorrente – nessuno, invece, pare abbia visto nulla. I carabinieri, in queste ore, dopo aver sentito parenti e amici sugli ultimi movimenti del noto commerciante, stanno procedendo alla ricostruzione dei fatti. Le indagini, coordinate dalla Dda di Catanzaro, proseguono protette da una vera e propria blindatura. Dal Comando compagnia di Soverato, guidato dal capitano Emanuele Leuzzi, non trapela nulla se non il lavoro continuo che sta impegnando l'Arma. Nel corso della notte, l'intero comprensorio è stato percorso dalle pattuglie che hanno controllato movimenti e verificato eventuali piste. La ricostruzione del delitto Chiefari, al momento, si basa su quanto visto in loco: l'uomo è stato ucciso all'interno della sua auto, un pick-up Nissan, raggiunto da più colpi di arma da fuoco esplosi dall'esterno del lato passeggero. L'accenno di fuga del commerciante, che è riuscito solo ad aprire il suo sportello, è rimasto tale. I colpi lo hanno centrato alla testa e al torace. Alcuni proiettili hanno persino bucato le vetrine del negozio di frutta di sua proprietà, nel quale c'erano le tre commesse (rimaste illese) ma, fortunatamente, nessun cliente. L'orario e il luogo dell'omicidio, proprio sulla statale 106, nel pieno del centro abitato di Davoli Marina, fanno riflettere sulla spietatezza e sicurezza ostentata dal gruppo di fuoco, sparito poi nel nulla. Anche su quest'ultimo aspetto le investigazioni tentano di trovare una strada concreta: la fuga è avvenuta in auto o in moto? E seguendo quali percorsi? Interrogativi che col passare delle ore potrebbero essere ricostruiti dai Cc ma che, in assenza di testimoni disposti a dare un contributo, rischiano di restare solo ipotesi. Intanto, ieri pomeriggio, il corpo di Chiefari è stato trasportato dalla camera mortuaria del Policlinico dell'Università Magna Græcia di Catanzaro all'ospedale Pugliese, per l'esecuzione di una Tac. Oggi, invece, il cadavere dovrebbe essere riportato al Policlinico dove l'autopsia, su disposizione del sostituto procuratore della Dda Vincenzo Capomolla, potrebbe essere eseguita già in giornata. Da essa, si avrebbero certezze sull'arma utilizzata nel delitto. Quanto ai funerali (a cura dell'agenzia Procopio di Davoli), si terranno a Chiaravalle Centrale. Uscito "indenne" dall'operazione Mithos (l'inchiesta della Dda di Catanzaro contro la cosca Gallace-Novella) il commerciante non ha avuto la stessa sorte in quello che è stato un agguato in piena regola. Con lui, sembra proseguire un'inquietante scia dettata dall'essere stati anche solo "sfiorati" (come nel suo caso) da Mithos, dopo l'uccisione di altri tre coinvolti nella stessa operazione: Vito Tolone, Vincenzo Varano e Luciano Bonelli, ammazzati a distanza di poco tempo l'uno dall'altro, il 31 gennaio 2008 Tolone, il 3 luglio 2009 Varano e il 24 luglio Bonelli, nipote di quest'ultimo. (Francesco Ranieri - gazzetta del sud del 18/01/2010)


Davoli Il commerciante Pietro Chiefari, 51 anni, è stato freddato da due sicari. Miracolosamente illese tre commesse della rivendita di frutta e verdura
Ucciso a colpi di pistola davanti al negozio
La vittima era coinvolta nell’inchiesta antimafia Mithos, altri tre indagati ammazzati nel giro di un anno

È stato un agguato in piena regola, eseguito con lucida ferocia, quello costato la vita ieri, intorno alle 19, a Pietro Chiefari, commerciante di 51 anni. L'uomo, originario di Torre di Ruggiero ma residente in contrada Pilinga di Gasperina, è stato colpito mentre si trovava a bordo del suo fuoristrada, un pick-up Nissan, nella traversa accanto al proprio negozio di frutta e verdura, a Davoli Marina, sulla statale 106. I sicari (probabilmente in due) hanno atteso che Chiefari salisse in macchina e, una volta avuta la sicurezza che l'uomo fosse ben saldo nel loro mirino, non hanno esitato ad esplodergli contro diversi colpi di arma da fuoco (almeno quattro stando ad alcune testimonianze di chi si trovava nei tanti negozi vicini), probabilmente una pistola di grosso calibro. I colpi hanno raggiunto il 51enne, cogliendolo al torace e alla testa, senza dargli alcuno scampo, nonostante un primo riflesso lo avesse spinto a cercare la salvezza tentando una fuga dallo sportello lato guida, rimasto infatti aperto. La morte lo ha con ogni probabilità avvolto quasi sul colpo, consentendo agli assassini di dileguarsi nelle buie vie che stanno proprio dietro l'esercizio commerciale. Lì, evidentemente, o nelle immediate vicinanze il gruppo di fuoco aveva parcheggiato il mezzo da utilizzare nella rapida fuga.

Intanto, l'orrore era entrato anche nello stesso negozio di Chiefari: infatti, solo per puro caso a quell'ora non c'erano clienti ma le tre commesse che vi lavoravano sono rimaste miracolosamente illese, considerato che alcuni proiettili sono penetrati anche all'interno dell'esercizio commerciale.

In pochi minuti, la zona è diventata off-limits per tutti. I carabinieri hanno raggiunto e transennato l'area del delitto, avviando la complessa macchina delle indagini. Gli uomini del Reparto investigativo scientifico (Ris), quelli della compagnia di Soverato (agli ordini del capitano Emanuele Leuzzi), della stazione di Davoli, guidata dal maresciallo Vincenzo Maddaluno, e i militari del Nucleo investigativo provinciale hanno cercato di ricostruire la dinamica dell'accaduto, tentando di rintracciare anche alcuni testimoni che potrebbero fornire elementi utili.

Soprattutto, a colpire è la freddezza con la quale i sicari si sono mossi e sono riusciti a fuggire in un orario di punta (trattandosi del sabato sera) e, soprattutto, ha destato rabbia e stupore anche la spregiudicatezza con cui hanno sparato, correndo il rischio di ferire altra gente.

In molti hanno udito quei colpi, ritenendoli un semplice "colpo di coda" dei botti natalizi ma la realtà si è poi rivelata in tutta la sua crudezza. Di fronte a tale scenario è poi giunto anche il comandante provinciale dell'Arma, il colonnello Claudio D'Angelo. La ricostruzione dell'omicidio è andata di pari passo con la ricognizione effettuata sul cadavere di Chiefari da parte del medico legale dell'Università Magna Graecia di Catanzaro, Giulio Di Mizio, mentre sul posto è poi arrivato anche il sostituto procuratore di turno presso la Procura della Repubblica di Catanzaro, Vincenzo Capomolla.

Le indagini dei carabinieri si sono ovviamente rivolte (e si approfondiranno ulteriormente in queste ore) anche all'analisi della vita di Pietro Chiefari, che lascia la moglie e due figli in tenera età. Il suo è un cognome "pesante", appartenendo alla famiglia Chiefari di Torre di Ruggiero. Inoltre, il commerciante era stato anche "lambito" nel 2005 dall'operazione Mithos, condotta dalla Dda di Catanzaro contro la cosca Gallace-Novella di Guardavalle. L'omicidio, peraltro si inquadra in un ambiente che ha registrato dall'anno scorso l'omicidio di altre tre persone toccate dall'operazione Mithos: Vito Tolone, ucciso a Vallefiorita in febbraio, Vincenzo Varano (ucciso ad Isca il 3 luglio) e suo nipote Luciano Bonelli (freddato a S. Andrea Jonio il 24 dello stesso mese). Legami inquietanti o semplice casualità? (Francesco Ranieri - gazzetta del sud del 17/01/2010)


I primi rilievi degli uomini della scientifica sul corpo senza vita di Pietro Chiefari (Gazzetta del Sud)

In sintesi

Pietro Chiefari, commerciante di 51 anni, originario di Torre di Ruggiero ma residente in contrada Pilinga di Gasperina, è stato ucciso intorno alle 19 di ieri a colpi di pistola mentre si trovava a bordo del suo fuoristrada, un pick-up Nissan, nella traversa accanto al proprio negozio di frutta e verdura, a Davoli Marina, sulla SS 106.

Le tre commesse che lavorava nel negozio della vittima sono rimaste miracolosamente illese, considerato che alcuni proiettili sono penetrati anche all'interno dell'esercizio commerciale.

I sicari,probabilmente due, hanno colpito con estrema ferocia. Hanno atteso che Chiefari salisse in macchina e non hanno esitato ad esplodergli contro diversi colpi di arma da fuoco (almeno quattro) con una pistola di grosso calibro.

La vittima, componente della famiglia Chiefari di Torre di Ruggiero, era stato coinvolto nel 2005 dall'operazione Mithos, condotta dalla Dda di Catanzaro contro la cosca Gallace-Novella di Guardavalle. Dallo scorso anno altre tre persone indagati in Mithos sono state uccise.


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