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Rubrica di Salute & Benessere a cura di Filippo Apostoliti

Numero 39 - Per eventuali Richieste e Consigli scrivere a: info@soveratoweb.it


   
Il presente articolo ha carattere divulgativo e non consultivo. Non può e non deve sostituirsi al rapporto paziente  – medico, che rimane l’unico interlocutore per la corretta diagnosi e terapie delle patologie trattate.

La timidezza è una malattia?

La timidezza è una malattia? Dobbiamo avere paura di cosa ci succede dentro quando affrontiamo gli altri?

Ne parliamo con il Dr. Walter La Gatta, psicologo e psicoterapeuta, considerato uno dei massimi studiosi della timidezza e responsabile scientifico del sito www.clinicadellatimidezza.it . 

Dr. La Gatta, lo confesso: sono timido. Nulla di male a parte quando sento ripetere che “ si deve essere più estroversi altrimenti il mondo ci farà un sol boccone”. Lei in contro tendenza sostiene sul suo sito che la timidezza può essere un punto di forza. La prego, mi rassicuri.

La timidezza non è foriera solo di difficoltà e disagi, ma anche di qualità e abilità che, se opportunamente utilizzate, possono diventare un punto di forza.

Qualche esempio?

La capacità di prepararsi meglio delle persone estroverse per le sfide più difficili, la sensibilità nei confronti del disagio altrui e dunque la disponibilità, la tolleranza, l'empatia, oltre che la discrezione e l'affidabilità.

Da piccolo, a scuola mi rimproveravano di non parlare molto, di essere meno attivo di altri, di non fare tutte le cose che facevano i miei compagni, i quali apparivano così più simpatici ed intelligenti.  Perché è passata l’dea che bisogna per forza essere estroversi, addirittura aggressivi in alcuni casi, per dimostrare la propria intelligenza?

Perché la società è molto competitiva ed i leader hanno in genere questi attributi. L'errore è pensare che tutti debbano prepararsi per essere dei leader e di competere con gli altri. Si può anche collaborare e condividere: non è sempre necessario primeggiare, pagandone spesso il costo con stress e malattie psicosomatiche.

Passi l’idea che saremo notati di meno, ma avremo le nostre capacità, non crede? Mi dica che noi timidi possiamo fare tanto nella società, la prego.

Non esistono timidi e non timidi: esistono persone che sanno gestire la propria timidezza e persone che non hanno ancora imparato a farlo. Dietro molte persone di successo c'è una storia di timidezza. Nel nostro sito raccontiamo spesso storie di personaggi famosi che parlano della loro timidezza ed il messaggio è chiaro: se ce l'hanno fatta loro, ce la possono fare tutti.

Allora, perché sento delle madri parlare dei propri figli malati come se si trattasse di una malattia da curare. È proprio così, è una malattia?

No, è un disagio, dovuto a scarsa fiducia in sé stessi e carenza di abilità sociali (stile di comunicazione, capacità di parlare in pubblico, capacità di attenzione e di interazione, ecc.).

Mi viene in mente che non le ho ancora chiesto di definire una volte per tutte la timidezza.

La timidezza è un concetto vasto, che accoglie al suo interno molte sfumature. Segnala, in primis, uno stile personale riservato, una preferenza a relazionarsi nel piccolo gruppo. Questa tendenza in verità diventa a volte una scelta obbligata, in quanto la persona timida si sente sempre sotto osservazione, è molto autocritica e qualsiasi errore in campo sociale diventa per lei fonte di disagio. Poi c'è l'aspetto della fiducia in sé stessi: la persona timida non ha spesso il coraggio di lanciarsi in nuove iniziative perché non ha una sufficiente fiducia nelle proprie doti e possibilità, il che è dovuto ad uno stile del pensiero piuttosto rigido ed autocritico, come si diceva sopra. Tutto questo può esprimersi, a livello sociale, in comportamenti modesti, che non reclamano l'attenzione degli altri e denotano assenza di vanità e di presunzione.  

Giusto per capire, ma la timidezza e l’essere introverso sono la stessa cosa?
No, non sono la stessa cosa, ma sono complementari: si può essere timidi in quanto introversi e si è introversi in quanto timidi.

Temiamo un giudizio negativo, dunque. Ma come nasce? Non mi dirà che l’ereditiamo, vero?
Si, è così, almeno il 50% delle cause ha sicuramente basi genetiche (i genitori del timido sono spesso persone timide, con scarse attitudini sociali)…..

Se c’è un problema genetico siamo fregati.  Col DNA non possiamo combattere. Però ho letto, sempre sul suo sito, che ci sono delle influenza negative da ricercarsi nell’ambiente familiare e soprattutto con i genitori.  Insomma, la mia timidezza può anche essere colpa loro?

In un certo senso si: oltre agli aspetti genetici, ci sono gli aspetti comportamentali. Un genitore timido sarà spesso evitante, poco socievole, riservato ecc. Possiamo affermare che se il bambino nasce in una famiglia blindata, poco numerosa e con pochi contatti sociali, dove anche i genitori hanno atteggiamenti timidi e riservati verso gli altri, dove si parla poco, non ci si scambiano manifestazioni d’affetto, non si esprimono le emozioni, se il dovere conta sempre e comunque più del piacere, come può un figlio diventare estroverso, aperto e fiducioso in sé stesso e negli altri? E’ abbastanza normale che il bambino sviluppi comportamenti caratterizzati dall’inibizione, con uno stile di vita molto riservato, assenza di iniziative, scarsa propensione al rischio e alla competizione. Dalla famiglia di origine possono venire, oltre che modelli di comportamento inadeguati, anche atteggiamenti educativi sbagliati, come l’essere ipercritici nei confronti dei figli: questo atteggiamento rendendo i figli timorosi di esprimersi, per la paura di sbagliare, di essere osservati, di essere giudicati dagli altri e  criticati. L'imprinting ricevuto nell’infanzia condizionerà tutta la vita adulta, per cui i bambini che sono stati bloccati nella espressione di sé da eccessive ansie, critiche, rimproveri o anche per il troppo amore, sentiranno maggiormente il bisogno di compiacere gli altri, per sentirsi più sicuri di sé attraverso il consenso esterno. Al contrario, un atteggiamento calmo, rassicurante, accettante, dovrebbe consentire lo sviluppo in età adulta di comportamenti più sicuri, con una soglia di tolleranza all’ansia e allo stress piuttosto elevata.  Non dimentichiamo che la personalità del bambino si forgia sui modelli che trova nell'ambiente. Non vorrei però dare tutte le colpe ai genitori, perché sarebbe ingiusto. Vi sono a volte situazioni spiacevoli, traumi, abusi che il bambino subisce, ad esempio in ambiente scolastico, che possono minare alla radice la sua autostima.

In effetti, devo riconoscere che a me è nata quando ho messo il naso fuori dalle mura domestiche, a scuola per la precisione.

Vero, ma può capitare anche il contrario. Ci sono bambini che fino a quando giocano per strada riescono a relazionarsi con i compagni. Poi subentra il piacere di rintanarsi in camera a giocare con la playstation o il pc e dimenticano i rudimenti delle relazioni con gli altri.

È capitato anche a me. Un po’ mi vergogno delle scelte fatte. A proposito, ma la timidezza è la vergogna sono la stessa cosa, vero?

La vergogna è un'emozione che è spesso presente nella timidezza, così come il senso di colpa, l'imbarazzo, la sensazione di essere stati umiliati: sono le emozioni dette della "inadeguatezza".

Sapesse quante volte mi sono sentito inadeguato. Penso sempre che gli altri siano perfetti e  io manchi in qualcosa.

E' un pensiero che passa per la mente a tutti e per fortuna è così: se non vi fosse questa paura di fallire, nessuno si preparerebbe a dovere per gli eventi della vita. Le persone più estroverse tuttavia riescono a dominare questa paura delle situazioni sociali, perché sanno di avere strumenti per sentirsi a proprio agio (ad esempio l'autoironia, la battuta pronta, la capacità di familiarizzare, ecc.) anche quando le cose si mettono male. Questa sottovalutazione delle richieste ambientali, da parte delle persone estroverse, è ciò che può aiutare il timido, che invece tende a sopravvalutare le richieste dell'ambiente e dunque si prepara a dovere. Direi che, per fortuna, non siamo tutti uguali e questo ci permette, a livello sociale, di poter soddisfare tutte le esigenze che la vita richiede.

 A volte mi sono sentito ripetere che non dovevo avere paura degli altri, che in qualche modo ciò che accadeva non fosse colpa mia.  Ho anche pensato che forse non ero timido ma avessi delle fobie, più in generale. Ma fobia sociale e timidezza sono hanno qualcosa in comune?

La fobia sociale impedisce alla persona di fare una vita "normale" nelle occasioni sociali: l'idea di vedere altre persone crea forti disagi e malesseri, come isolamento e attacchi di panico. La timidezza può dare qualche disagio, ma la persona riesce comunque ad avere una normale vita di relazione. Ecco perché insistiamo sul fatto che i due concetti non vadano confusi: avere qualche disagio per motivi di timidezza è normale, perché fa parte del nostro essere umani e dunque non ci si deve vergognare o preoccupare del normale senso di disagio ogni volta che affrontiamo persone o situazioni nuove. Altra cosa è la fobia sociale, che è paralizzante e che impedisce qualsiasi interazione.

Senta Dr. La Gatta, il sito che ospita l’intervista è molto seguito dai ragazzi.  Tra loro ci saranno molti timidi. Cosa dovrebbero dire ai loro genitori? 

Niente: non è colpevolizzando i genitori che si diventa meno timidi. I timidi dovrebbero sforzarsi a prendere la vita con maggiore leggerezza, imparando a concentrare l'attenzione, nelle relazioni sociali, più sugli altri che su sé stessi, cominciando a pensare che dietro un errore non c'è una fine, ma un nuovo inizio. In questo modo la timidezza diverrà davvero un punto di forza, perché sarà quel qualcosa in più che permetterà alla persona di esprimere tutte le sue qualità.

E se capitasse sul sito qualche genitore, cosa gli potremmo consigliare ?

I genitori dovrebbero sforzarsi di centrare l'attenzione più sul loro comportamento che su quello del figlio timido: sto facendo tutto ciò che posso per aiutarlo ad inserirsi socialmente? Lo supporto, lo aiuto, lo consiglio, riguardo ai comportamenti da tenere in ambito sociale? Mi pongo come modello positivo o negativo? Sono troppo oppressivo nel controllo delle sue emozioni? Riesco a parlare delle mie difficoltà quando ero ragazzo, o parlare di queste cose mi crea ancora troppi disagi? La nostra casa è spesso frequentata da persone o viviamo isolati?  In altre parole, un genitore efficace è un genitore che lavora soprattutto su sé stesso,  che si pone come modello positivo, che non giudica e non critica, ma sostiene e premia gli sforzi del figlio nella socializzazione.

Per come la mette lei, allora non servono le medicine per curare la timidezza, vero?

In genere no, anche perché le medicine danno assuefazione e con il tempo non solo non proteggono più la persona dai suoi problemi, ma anzi sono esse stesse causa di quei sintomi che dovrebbero curare (come nel caso delle benzodiazepine). Allo stesso modo, ancor più pericolosi del farmaci sono altri sistemi di auto-aiuto, come l'alcool o le così dette droghe ricreazionali, quelle che aiutano a sentirsi più disinvolti quando si è fra amici: finito l'effetto euforizzante si sta come prima, o peggio di prima, perché a quel punto ci si deve confrontare con le azioni ed i discorsi fatti quando si era sotto l'effetto della sostanza. Questo porta ad un insostenibile sdoppiamento della personalità, per cui nel tempo le persone che usano queste droghe una tantum cominciano a sentire la necessità di assumerle anche nei momenti più tranquilli, per stare meglio con sé stessi. Così cominciano le dipendenze.

Infatti, nel vostro sito date altre possibilità per affrontare la timidezza.  Mi racconta la sua esperienza sul campo.

Abbiamo iniziato ad interessarci di timidezza sulla base della esperienza americana del Prof. Philip Zimbardo e della sua Shyness Clinic, cui il nostro lavoro si ispirato. La clinica della timidezza non è, chiaramente un ospedale, con reparti, medici in camice bianco o pronto soccorso: è solo un punto di riferimento, reale e virtuale, dove degli psicologi si prendono cura dei problemi di timidezza delle persone e le aiutano a stare meglio con gli altri e con sé stesse, cercando di lavorare sia sullo stile del pensiero, sia sui comportamenti.

E se qualcuno volesse incontrarla, che dovrebbe fare?

Semplicemente telefonarmi e prendere un appuntamento. Ogni giovedì inoltre è possibile ricevere consulenza gratuita via telefono, chat o videochat. Le modalità sono indicate sul sito www.clinicadellatimidezza.it e su www.psicolinea.it, il nostro altro sito "storico".

Che bello! Sono riuscito a fare l’intervista nonostante la mia timidezza. Che ne dice?

Bravo! ;-)

Grazie per la sua disponibilità a concedersi alla nostra rubrica.

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