SOVERATO WEB - HOME PAGE IL FANTASMA DEL FABBRO

Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò

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ME LO CELEBRO PER CONTO MIO

 Ebbene, sì, me lo celebro da solo, per conto mio, approfittando dell’ospitalità di Soverato Web, visto che non mi lasciano altrove: chissà perché. Cosa mi voglio celebrare da solo? Già, non la reggo più. Cosa? La favola della vecchia contessa. Quale? Quella che mettono in tutte le salse, in tutte le occasioni, tutti, e unicamente quella. Si tiene una riunione? Protagonista assoluta, la vecchia contessa! Arriva il Rettor Maggiore? Gli raccontano anche a Lui la contessa. Parlano in piazza? E di che? Ma è ovvio, della vecchia contessa. Non la reggo più, la candida vecchia contessa, e la riduzione a pia storiella di un fatto epocale quale la presenza di don Bosco a Soverato, la scelta di venire a Soverato. Perciò, lasciando le contesse al loro Purgatorio o Paradiso che sia, il centenario dei Salesiani me lo celebro per conto mio, da solo. 

A parte la vecchia nobildonna in vena di donazioni, o, più esattamente, di restituzione alla Chiesa e al popolo di quello che i suoi avi avevano sottratto ai tempi di Murat e dei Piemontesi; e donò a mezzo mondo, ai Liguorini, alle Riparatrici, alla chiesetta oggi del Rosario eccetera, e qualche pezzo di terra ai Salesiani. Ma io non lo penserò mai che i figli di don Bosco, un uomo tanto santo quanto accorto, e così attento alla realtà, abbiano creato quel monumento che è l’Istituto, solo perché regalarono loro un poco di terra mezzo selvatica. Se i Salesiani, a cominciare da don Bosco stesso e da don Rua, fossero stati così ingenui e sprovveduti da fondare case dovunque trovavano un po’ di terra, altro che la loro consistenza nel mondo intero! Macché: se scelsero Soverato e non altrove, è perché Soverato aveva bisogno dei Salesiani, e i Salesiani di un luogo vivace, ricco e moderno qual era Soverato del 1908. La Soverato dei commerci, dell’artigianato, del lavoro, non ancora diventata ricettacolo di pigri ventisettisti com’è ora!

 Perciò lasciatemi celebrare, da solo, il Liceo classico tra i più prestigiosi del Meridione; l’educazione rigorosa che vi ho ricevuto, che, ai miei tempi, mirava a formare uomini forti e capaci di responsabilità e dignità, e di una libertà da meritare; l’impostazione di base che insegnava ad amare la cultura senza prenderla troppo sul serio (“non impariamo per la scuola, ma per la vita”); e la cultura senza la noia dell’erudizione; e la più grande varietà e conflittualità di opinioni, fatti salvi le verità della Fede e alcuni pochi indiscutibili principi. Voglio ricordare l’Oratorio, la scuola di tutti, anche di chi a scuola non andava, e che ha insegnato a Soverato la religione, la lingua italiana, le attività sportive, la musica, il teatro, il cinema, le gite, e la socialità dello stare assieme con ordine; e le buone maniere, una virtù di cui la Calabria è sempre stata quasi ideologicamente priva.

 Né possiamo dimenticare la rilevanza anche economica che l’Istituto ebbe per lo sviluppo stesso di Soverato, con l’arrivo di sacerdoti colti, di professori, di tecnici di formazione specialistica, con un collegio di centinaia di ragazzi e che attirava da noi le loro famiglie.

 Non so se qualche giansenista si risentirà di questa mia interpretazione della presenza salesiana. Peggio per chi non conosce, non sente a fondo quella natura intrinseca del cattolicesimo che è non separare mai l’anima dal corpo, il mondo da Dio.

 Per cento anni, e vorrei poter sperare anche per l’avvenire, i Salesiani ci hanno dato e la Fede e l’umanità, e le due cose procedevano assieme.

 Tutto oro? Forse no, anzi, ho qualche riserva a proposito dell’una, e un tantino anche dell’Altra: ma questa è una pagina di celebrazione, sia pure da solo, e il resto, un’altra volta. Forse.

Ulderico Nisticò

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