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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò

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UN’ALTRA EPIGRAFE DI PETRIZZI

  


  Nel 2004 ho pubblicato sulla rivista Ciminiera di Catanzaro uno studio sulle dieci lapidi latine di Petrizzi presenti nelle chiese e in altri luoghi, e in parte riconducibili ai feudatari Marincola. Lo studio venne presentato in una conferenza e ripubblicato sul bollettino parrocchiale Pietre vive. È stata una simpatica sorpresa, sabato 30, entrando nel municipio, che è l’antico palazzo ducale, trovarne un’altra, riscoperta di recente, e che mi piace qui riportare e commentare:

F[ACTUM]         I[IN]        M[EMORIAM]
ANTONIUS MARINCOLA III DUX PETRITII / QUEM INGRATAE CURAE / E PARTHENOPAEIS RAPUERE DELICIIS / ET SOCRATICIS CUMULAVERE MOLESTIIS / HAEC OMNIA VINCENS / ET QUIETE AETATEM AGERE EXOPTANS / GRATIIS HORTOS NYMPHIS FONTES NEMUS FAUNIS / ET LOCI IUCUNDITATEM / ANIMI GENIO DICAVIT / CONSANGUINEIS ET AMICIS OMNIA / ANNO MDCCIII

 “Fatto in memoria. Antonio Marincola, terzo duca di Petrizzi, che mal graditi doveri sottrassero ai piaceri di Napoli e lo riempirono di socratici impegni, superando tutte queste cose e desiderando trascorrere in pace la vita dedicò giardini alle Grazie, fonti alle Ninfe, un bosco sacro ai Fauni e la bellezza del luogo al genio dell’animo e il tutto a congiunti e amici; nell’anno 1703”.

 Petrizzi, già parte del principato dei Borgia di Squillace, nel 1602 divenne feudo autonomo dei Pepe; nel 1604 dei de Cordua; nel 1610 dei de Barberis; nel 1629 infine pervenne a Salvatore Marincola, che nel 1642 ottenne il titolo di duca; e a Petrizzi aggiunse la baronia di Soverato, feudo autonomo. A lui seguì nel 1666 Diego; a questi Antonio, dal 1678 al 1732; quindi Fabrizio fino al 1735; e in quell’anno gli successe Diego (II); Pietro I governò fino al 1795; Francesco Antonio, al 1803; infine Pietro II fu l’ultimo ad esercitare effettualmente la giurisdizione feudale, abolita dagli occupanti francesi nel 1806. Il titolo nominale di duca di Petrizzi si estinse, mentre rimase quello di Soverato: l’ultimo barone, Diego Marincola, morì nel 1953 senza eredi maschi: secondo il diritto araldico piemontese, in vigore dal 1861, il titolo non poté essere trasmesso alla maggiore delle figlie, Enrichetta, né a figlio Domenico (Mimì) Caminiti, lo storico, come sarebbe invece accaduto nell'antico Regno di Napoli.

 Il duca e barone Antonio, dal lungo governo, ci informa che dovette lasciare Napoli, e ne ricorda con nostalgia le “deliciae”, e sottoporsi a gravosi impegni di governo e amministrazione, che, con curiosa espressione, chiama “socratici”, evidentemente alludendo ai suoi interessi culturali. Superando il fastidio in nome della tradizione nobiliare e feudale, e vivendo a Petrizzi, volle dotarsi di un luogo degno di sé, e, pare di capire, ristrutturò l’antico castello fortezza, per farne un palazzo che, secondo il Caminiti, era il più vasto della Calabria; e si estendeva, infatti, dall’attuale piazza centrale fino alla Matrice. Questa interpretazione è corroborata da un’iscrizione posta sulla facciata del palazzo stesso:

PETRITIU[M] FRUGES SITUS AER FLUMINA DITANT / AST OPE MAIORI CURA MARINCOLI DUX / ANTONIUS MARINCOLA PETRITII DUX III / POSUIT ORNAVIT A[NNO] D[DOMINI] MDCCV

 “Messi, posizione, clima, fiumi arricchiscono Petrizzi, ma con maggiore abbondanza la cura del duca Marincola. Antonio Marincola, terzo duca di Petrizzi, pose e ornò [il Palazzo]”.  Le prime due righe sono un sia pur volenteroso distico elegiaco. 

Di un edificio costruito dal duca parla, in un distico, anche una lapide, che, in Argusto, e adempiendo oggi all'umile indebito ufficio di panchina, ricorda il periodo in cui i Marincola furono feudatari anche di quel borgo:

 PETRITII HANC CONDI IUSSIT  DUX TERTIUS AEDE[M] / TRACTUS AB ELECTIS AERE, FONTE, SITU / A[NNO] [DOMINI] 1716

 “Il terzo duca di Petrizzi ordinò di costruire questo edificio attratto dai singolari aria, fonte e sito, nell’Anno del Signore 1716.” L’edificio (aedem) è però probabilmente una chiesa.

 Torniamo alla lapide del Municipio. Questa attesta che all’interno del palazzo vi era uno di quelli che, dal Rinascimento, si chiamavano “giardini delle delizie”, e oggi diciamo all’italiana, con giardino propriamente detto di piante e fiori dedicato alle Grazie, le dee della bellezza e della gioia; fonti dedicate alle Ninfe, s’intende le Naiadi; un boschetto popolato da Fauni, le misteriose creature della mitologia romana.

 C’erano forse delle statue raffiguranti queste divinità. Petrizzi non è affatto priva di arte: nella bella chiesetta della Trinità si ammirano due altorilievi tombali di squisita fattura; e di recente è stato restaurato un quadro del Martini di Bivongi, che raffigura forse lo stesso Antonio in abito monacale, e, in miniatura, Petrizzi.

 Un altro tassello di un mosaico difficile da ricomporre, quello della nostra storia medievale e moderna, che o viene dipinta come un’ininterrotta serie di disgrazie e fame, o, semplicemente, viene ignorata. I documenti provano il contrario, e non è colpa mia se gli storici ideologizzati credono ai documenti solo quando avvalorano le loro precotte tesi; e se no, non li leggono nemmeno. Peggio per loro.

 Una piccola malignità finale: manco una lapide, a Soverato, di cui pure erano baroni gli stessi Marincola? O c’erano sono sparite per terremoto e spoliazioni? Speriamo in un colpo di fortuna.

 Ulderico Nisticò

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