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Rubrica di Salute & Benessere a cura di Filippo Apostoliti

Numero 40 - Per eventuali Richieste e Consigli scrivere a: info@soveratoweb.it


   
Il presente articolo ha carattere divulgativo e non consultivo. Non può e non deve sostituirsi al rapporto paziente  – medico, che rimane l’unico interlocutore per la corretta diagnosi e terapie delle patologie trattate.

I segreti magici delle piante di Natale

A Natale ogni cosa è magica. Perfino le piante che usiamo per decorare le nostre case nascondono qualcosa. Un segreto che oggi proviamo a svelare, fatto di leggende miste a medicina popolare.

Cominciamo dal Pungitopo.

Il Pungitopo.

Siamo alla fine dell’autunno, ai primi freddi. Il contadino continua a lavorare nei campi e la donna si rintana in casa colpita dai geloni alle mani e ai piedi. Una volta tornato, la moglie lo prega di riuscire di nuovo e di andare a cercare quella pianta miracolosa che tanto sollievo le aveva dato l’anno prima, sempre di questo periodo. Il povero contadino è allora costretto ad uscire alla ricerca di quella pianta dalle bacche rosse. Quando la trova, non rimane lì a cincischiare, la strappa per intero e la porta a casa, tanto ci penserà lei ad utilizzare quel che serve.

La moglie, infatti, si adopera subito per separare rizoma, cioè il fusto sotterraneo, dalle bacche. Perché è il rizoma la parte migliore. È il rizoma che adoperato come decotto le darà dopo qualche giorno il sollievo tanto sperato. In pratica, agirà sulla cattiva circolazione. Ma non lo consuma tutto. Meglio conservarne un po’. Ha saputo dalla vicina che ha funzionato anche per sgonfiare le gambe gonfie e pesanti della nonna che hanno in casa. Potrebbe essere utile in futuro, come diuretico.

Ma rimangono le bacche. Che farci? Sono belle, rosse e si intonano perfettamente con l’atmosfera del Natale. E poi? Come non pensarci prima? Non tutti sono fortunati come suo marito a trovare la pianta dalle bacche rosse con la quale potersi curare. Magari se lo mette alla porta ricorderà a se stessa quanto è fortunata a curarsi.

E le foglie? Non si devono buttare, a qualcosa serviranno. Idea! In cantina hanno il problema dei topi che mangiano i formaggi e i salumi. Ricoprendoli con le foglie spinose i topi ci penseranno due volte prima di avvicinarsi. Detto e fatto! Quando torna su racconta al marito l’idea, il quale non perde l’attimo e preso dal’entusiasmo battezza quella pianta con il nome di Pungitopo!

C’è anche una leggenda famosa sul Pungitopo.

Quando giunse l'inverno tutti gli uccellini del bosco partirono. Soltanto un piccolo uccellino decise di rimanere nel suo nido dentro un cespuglio di Pungitopo, voleva a tutti i costi attendere la nascita di Gesù per chiedergli qualcosa. L'inverno fu lungo e molto nevoso. Il povero uccellino era stremato dal freddo e dalla fame.

Finalmente arrivò la Notte di Natale. Quando l’uccellino fu dinnanzi al Bambino appena nato, disse : "Caro Gesù, vorrei che tu dicessi al vento invernale del bosco di non spogliare il Pungitopo. Così potrei restare nel mio nido e attendere la nuova primavera".

Gesù sorrise, poi chiamò un angelo e gli ordinò di esaudire il desiderio di quell'uccellino. Da allora, il Pungitopo conserva le sue verdi foglie anche d'inverno. E per riconoscerlo dalle altre piante l'angelo vi pose delle piccole bacche rosse e lucide.

Carina, no? E ora passiamo al Vischio.

Il Vischio.

Mentre il Pungitopo appartiene alla nostra cultura contadina, il Vischio arriva da lontano, dal freddissimo Nord Europa.

Si trova spesso su alberi di melo, frassino e biancospino. Raramente cresce sulle querce ed è un peccato perché questo Vischio è il migliore.  Proprio le sue capacità curative hanno contribuito a rendere la quercia stessa uno degli alberi più rispettati dal contadino.

I contadini hanno sempre avuto paura del periodo prima della neve. Un detto comune delle nostre  campagne era che la neve fosse benedetta perché disinfettava ogni cosa. Bisognava quindi stare attenti a quel che si mangiava prima che arrivasse la neve, perché i batteri avrebbero potuto essere nascosti nel cibo. Se malauguratamente qualcuno avesse mangiato del cibo infetto si sarebbe ritrovato a letto colpito dai dolori e da problemi gastrointestinali, come la diarrea. E sarebbe stato curato con le foglie del Vischio, che venivano cotte e utilizzate come purgative e antispasmodiche. 

Ma la pianta quando raggiungeva il massimo della sua efficacia? Prima che comparissero le bacche. E quando comparivano le bacche? Durante la neve! A volte, la natura è precisa come un orologio svizzero.

Siccome gli spasmi capitavano anche in molti disturbi del sistema nervoso, come la colite nervosa, ecco che la pianta risultò efficace anche in queste patologie. Suscita curiosità pensare che per tali patologie veniva adoperato come soluzione alcolica, facile da preparare perfino dai nostri contadini, ma di fatto privo così delle tossine che poi avrebbero portato alla riconsiderazione della pericolosità della pianta stessa. Capitò infatti che le sue capacità curative furono sfruttate per altre patologie, per le quali si provarono altri modi di preparazione, rivelatesi sbagliate.

L’unico che scopri altri usi fu l’abate Kneipp che con il suo infuso curava i reumatismi e i dolori articolari tipici dell’inverno gelido.

Anche sul Vischio ci sono leggende.

I Celti credevano che ovunque cadesse una folgore, lì nascesse il Vischio. Come una sorta di presenza divina nel mondo che tentava di fecondare la terra. Ecco perché utilizzavano le bacche per una bevanda che combattesse l’infertilità delle donne.

Sempre dal Nord arriva l’usanza per la quale se due fidanzati passano davanti ad una pianta di Vischio, si devono baciare altrimenti la ragazza non si sposerà entro l’anno. Si racconta che gli dei norvegesi Odino e Frigga avessero un figlio, Balder, dio della pace. Il quel colpito da un dardo di Vischio rimase ucciso. I genitori, presi dalla disperazione, gli restituirono la vita con un bacio di Frigga e concessero il dardo di Vischio alla dea dell’amore, la quale sancì che chiunque passasse sotto questa pianta dovesse ricevere un bacio.

E finiamo con l’Agrifoglio.

 L’Agrifoglio.

Non c’è che dire, sembra molto simile al Pungitopo, a cui è accumunato da un destino comune: l’uso attorno ai formaggi e ai salumi per proteggerli dai topi. Da qui il nome comune di Pungitopo maggiore.

Non solo.

Abbiamo ormai capito che per i contadini era difficile affrontare l’inverno. Reumatismi e problemi vascolari erano all’ordine del giorno. Ma ci siamo dimenticati le malattie da raffreddamento come l’influenza e il raffreddore, con tutte i sintomi annessi.  In questi casi l’Agrifoglio era una mano santa. Che poi fruttasse proprio d‘inverno la rendeva ancora più magica. La moglie del contadino, sapeva che lasciando macerare le foglie fresche nel vino avrebbe ottenuto un preparato utile per l’influenza, per la febbre, per la bronchite e perfino per la diarrea. Piccola curiosità: il vino utilizzato era quello fresco, oggi diremmo novello. A differenza dell’invecchiato aveva una quantità di polifenoli più adatta all’estrazione dei principi attivi dell’Agrifoglio. Come una conserva normale, si usa quel che la natura offre in quel momento.

Ma se le foglie si usano a protezione degli alimenti e come curativi, le bacche che uso avevano? I contadini sapevano che erano tossiche e allora le usavano per adornare le bocche dei camini dalle quali potevano entrare animali, che alla vista di quella bella bacca rossa non avrebbero resistito. Ne avrebbero fatto un sol boccone e...sarebbero morti.  In alcuni casi, qualche brillante contadino lo usò anche per delimitare i confini della propria terra e tenere lontani animali pericolosi.

Quale leggenda per l’Agrifoglio?

I romani regalavano l’Agrifoglio durante i saturnali, come buon auspicio. Riconoscevano che una pianta che fruttificasse l’inverno dovesse avere qualche potere magico.

Anche i celti onoravano questa pianta, considerandola la seconda faccia della quercia. In primavera  è la quercia a manifestarsi e durante l’inverno tra gli stessi boschi compare l’Agrifoglio. 

Una leggenda racconta di un piccolo orfanello che viveva con alcuni pastori quando gli angeli araldi apparvero annunciando la lieta novella della nascita di Cristo. Il bambino si mise in cammino verso Betlemme con gli altri pastori e sulla via intrecciò una corona di rami da portare in dono a Gesù Bambino. Ma quando pose la corona davanti al Bambinello gli sembrò così indegna che si vergognò del suo dono e si mise a piangere. Allora Gesù Bambino toccò la corona e le sue foglie brillarono di un verde intenso e trasformò le lacrime dell’orfanello in splendide bacche rosse. Con l’avvento del Cristianesimo l’Agrifoglio divenne l’Albero Santo a rappresentare la Croce di Spine.

Ora sappiamo, che molte delle piante che adoperiamo per adornare le nostre case nascondono storie di magie e cultura popolare.

Come in fondo lo è un po’ la nostra stessa vita.

Non trovate?

Un augurio di buon Natale a tutti!

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