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La prolifica penna del giornalista, scrittore e autore S.I.A.E. per la parte letteraria Vincenzo Pitaro. Leggi la sua biografia, i suoi articoli culturali, la sua narrativa, le poesie dialettali, satirico-dialettali e non, le sue pubblicazioni, la rassegna stampa, ecc.

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Reggio Calabria e i suoi tre poeti contadini

Un momento poetico e la copertina di un libro di Giuseppe ConiglioIn quasi tutte le province della Calabria, si possono a tutt'oggi scoprire genuine forme espressive che rivelano la naturale disposizione poetica delle popolazioni contadine o artigiane.
Incontri di questo genere non sorprendono, ad esempio, nella cittadina di Serra San Bruno, dove il passante (o lo studioso di dialettologia) è quasi sempre in vigile attesa,  allo scopo di cogliere qualche espressione rimata che spontaneamente esce dalla bocca dei più anziani, e non solo. Si sa comunemente che in quelle contrade il popolo conserva e tramanda forme di arte che hanno segnato momenti di notevole valore, grazie anche al fatto che Serra San Bruno diede i natali nel 1837 all'intramontabile poeta-scalpellino Mastro Bruno Pelaggi.
Questo nostro «excursus», tuttavia, riguarda in modo particolare la poesia dialettale contadina, che è la forma più immediata e significativa dei genuini atteggiamenti dell’animo: basti ricordare i lamenti, le nenie, le cantilene e le ninne-nanne che tuttora fioriscono nelle valli e nelle campagne, presentandosi come una devota testimonianza di fedeltà ai motivi incorruttibili dello spirito regionale o come una tenace manifestazione di purezza spirituale e di genuino linguaggio. Quei contadini che poetarono in dialetto rappresentano, senza dubbio, un capitolo molto importante nella storia della letteratura dialettale calabrese, costituendo una tradizione poetica meritevole del più attento studio.
In particolar modo, ci piace ricordarne tre, tra i più conosciuti agli addetti ai lavori e forse ingiustamente poco famosi per la stragrande maggioranza dei calabresi. Tutt'e tre appartengono alla Locride e rispondono ai nomi di Salvatore Filocamo, Micu Pelle e Giuseppe Coniglio. Il primo, nato a Siderno nel 1902, pubblicò in tutta la sua vita - nel 1976 - una sola raccolta di componimenti (intitolata «Ricchi e Povari») che prese il nome da una delle sue più significative poesie in dialetto locrese. Alcune quartine rimano così: «'U riccu s'arza ê novi la matina / e trova 'a colazione preparata / prima 'u si vesti già la panza è chjna / tantu pe' cuminciari la jornata. / 'U povaru si leva cu' lu scuru / si faci 'a cruci e vaji a fatigari / scarzu, malu vestutu e addijunu: / fin'a chi scura mata ndavi a stari». Poi, in chiusura, rivolgendosi al Padreterno, dice: «E Vui Signuri, chi tuttu viditi / pecchì 'sti cosi storti 'i sumportati? / Ddui sunnu 'i cosi: o Vui non ci siti / o puru Vui d'i ricchi Vi spagnati!».
Salvatore Filocamo lasciò dopo la sua morte tante altre poesie dialettali che, a quanto pare, nessuno fino ad oggi ha avuto il pietoso pensiero di raccoglierle in volume perché l’oblio non ne facesse perire la memoria. Fu anche autore di alcune commedie carnevalesche di ottima fattura.
Un altro validissimo poeta-contadino dell'entroterra locrideo, fu Micu Pelle, di Antonimia, dove nacque nel 1910. Il Pelle, peraltro, fu impegnato anche politicamente nelle file del Partito Comunista Italiano fino a ricoprire nel suo paese la carica di sindaco. La sua opera, data alle stampe nel 1977, s'intitola «Risbijàmundi» (Risvegliamoci) e, anche in questo caso, come in quello di Filocamo, a dare il titolo al volume fu – a suo tempo - una sua bella poesia ricca di significato, con la quale incitava le classi proletarie ad un risveglio, ad una presa di coscienza per porre fine alla loro sudditanza, nella piena consapevolezza che senza di loro la società non sarebbe progredita. «Cuntadini, zzappaturi, poeta o professuri / mpegatu o mastru, artista o scritturi / lavuraturi di vrazza o di la menti / senza di nui, non si produci nenti».
Deve finire - dice in pratica il poeta - la potenza del denaro e a dirigere il mondo dovranno essere l'intelligenza e il lavoro.
Infine, ecco Giuseppe Coniglio, un altro importante poeta-contadino, nato e vissuto a Pazzano. La poesia dialettale albergò dentro di sé quasi sempre. Non a caso era solito sentirlo poetare anche quando tornava da una dura ed intensa giornata lavorativa trascorsa nella sua vigna o in poderi altrui. La sua prima silloge di poesie acquistò dignità editoriale nel 1973, per interessamento di un prete, don Mario Squillace, che proprio in quel di Pazzano svolgeva a quei tempi funzioni sacerdotali. Il volume, intitolato «Calabria contadina», si avvalse infatti della prefazione dello stesso Squillace. Una raccolta poetica piena di satire in versi per lo più ottonari, con le quali Coniglio ebbe modo di canzonare persino molti politici calabresi, a volte denunciando finanche lo smaccato clientelismo e il malaffare che li sorreggeva. Ma non mancarono certo le ispirazioni in cui questo cantore pazzanese (specie con il componimento intitolato «'A guttera») colse momenti di elevata poesia.
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Vincenzo Pitaro © Gazzetta del Sud - pag. Cultura, di giovedì 15 settembre 2011 - Archivio: www.gazzettadelsud.it - http://twitter.com/laltracalabria © Editrice L’altra Calabria

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