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Rubrica di Società e Cultura di Ulderico Nisticò

Numero 93 - Per eventuali Commenti su questo articolo scrivere a: info@soveratoweb.it

SBADIGLI SUL PALCOSCENICO E AD OGNUNO L’ARTE SUA

 Torno da Lamezia, e, quasi al bivio di Catanzaro Lido, mi delizia la vita di un gigantesco cartellone, il quale, come fosse la cosa più ovvia di questo mondo invece di, come in effetti è, un’elucubrazione campata in aria, informa il passeggero che da lì, da quel punto preciso, Ulisse si imbarcò per tornare ad Itaca. Formalocchiu! E già, lo ha detto il Wolf, e, secondo il suddetto germanico, il girovagante eroe sbarcò a Sant’Eufemia, raggiunse la reggia dei Feaci a Tiriolo, e ripartì dall’altra parte. Come ha fatto Wolf a pervenire a tali mirabolanti conclusioni? Ma è semplice: prende nel VI dell’Odissea la parola greca eisithme, che significa ingresso, e la traduce di sua iniziativa istmo, e il gioco è fatto, per magia. Voila. No, non basta, occorre un altro ingrediente, cioè un pubblico composto al 99,9 periodico di illustri signori che non conoscono il greco classico, e sono perciò disponibili a bersi qualsiasi cosa a proposito di questa defunta lingua. Poi Wolf incappa nello 0,00000000000000000000001% che il greco lo sa, e il suo bel castello diventa come quello dell’Ariosto, che è bello, però non esiste.

 Eh, ci vorrebbe almeno una tradizione mitica, che non c’è; almeno uno straccio di prova archeologica o etimologica, che manca del tutto, per dar corpo alle ombre, per affacciare quella che qualsiasi professionista chiamerebbe almeno un’ipotesi, invece di fantasticheria com’è. Ipotesi, non è sinonimo di invenzione! Niente di tutto ciò, però la cosa pare carina, e ad Ulisse hanno eretto un monumento a Tiriolo. A Tiriolo, metri 800 sul mare e anche di più, dove però, secondo Wolf, abitava un popolo di navigatori. E Ulisse viene così trasferito dalla Marina da guerra al Corpo degli Alpini.

 Metteteci quello che scoprì essere calabrese san Gennaro; e l’altro, Mosino, il quale pensa che Omero era di Reggio; eccetera; e i diluvi di immaginazione a proposito di Nardodipace; eccetera. E scoprirete, cari lettori, perché la storia calabrese vera non la conosce nessuno, e al massimo sanno, per sentito dire, che “ci fu la Magna Grecia” (non chiedete notizie!); che vennero i basiliani (Tutti monaci, i Bizantini? Seicento anni di monaci?); e che venne fucilato Murat, però pensano fosse una marca di sigarette. Tutto il resto, buio! Leggete un libro di testo adottatissimo nelle nostre scuole.

 Lo stesso per l’arte e la letteratura, senza dire della ieroteratopoiesi. Che è, sta cosa? La creazione di mostri sacri: mostri di serie C2 (A, B e C1? Beh, non esageriamo! nessuno), famosissimi sui giornali calabresi, del tutto ignoti oltre il Pollino; di serie D, a livello zonale; di campionato dilettanti, quei “grandi uomini di cultura” dei paesetti, che non hanno mai scritto manco una cartolina illustrata, però, a sentire i loro plauditori...

 Basta, è ora di finirla! E come? Semplice, semplicissimo: affermando il volgarissimo principio che ad ognuno l’arte sua. Se la mia auto si guasta, non vado dal vicino di casa, ma dal meccanico; se mi sento maluccio, dal medico; se devo comprare un panino imbottito, dal salsamentario; se voglio sapere che significa salsamentario, apro un librone apposito. Invece no, in Calabria sono tutti saccenti di tutto, tutti storici, tutti poeti. Basta, è l’ora della dittatura degli specialisti, e del divieto per legge ai calabresi di sproloquiare su ogni cosa.

 Per concludere parliamo di teatro. Occorre tuttavia una premessa, a scanso di equivoci. Quanto sto scrivendo in questa pagina è pura critica letteraria, nulla di personale; e, per darvi la prova della mia buona fede, dichiaro, per esempio, che i versi da 102 a 108 dell’XI del Purgatorio di Dante, e dico Dante, sono francamente brutti, preceduti e seguiti però da momenti di poesia altissima. Ecco come si fa la critica letteraria, e su Dante, dico Dante: spero non si offendano, gli interessati, che sono bravi, però non sono l’Alighieri. Ci sono in giro dei bravi attori, ma i testi che scrivono, esempio Calabretta e Michienzi, sono palesemente non all’altezza né della forza sintetica e primordiale del dialetto né della duttilità dell’italiano; e pesanti; e scarsi di trama e privi di ogni sorpresa scenica e invenzione; e, alla ricerca di un tema più o meno religioso e moralistico per mania di melenso buonismo, risultano senza sale, senza tensione, senza inatteso, politicamente corretti e predicatori; e non fanno né piangere né ridere: tutto il contrario del buon teatro. Penso al filmetto noiosissimo del 2008 sul miracolo di Torre Ruggero, con Michienzi, mi pare, e, dicono, gradito a certe autorità ecclesiastiche locali: minuti di puri sbadigli. Morale: perché, se non sono valenti autori, non si contentano di recitare e si ostinano a scrivere, che non è minimamente arte loro? Avete mai sentito dire che io voglio giocare a pallacanestro? O scalare il Monte Bianco? Non sono capace, perciò non ci provo. Eppure molti dicono che io sia capace di fare molte cose. Sed non ego credulus illis, direbbe Virgilio.

Ulderico Nisticò

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Commento all’articolo N.93 del 23/01/2010 della rubrica “Fantasma del Fabbro”

 Soverato, 23 gennaio 2010

Pregiatissimo Prof. Nisticò, seguo da qualche tempo, con interesse e curiosità, la Sua rubrica ”Il Fantasma del Fabbro”.  Nel Suo ultimo intervento dal titolo “Sbadigli sul palcoscenico e ad ognuno l’arte sua”, pubblicato in data odierna sul sito www.soveratoweb.it, pur non entrando nel merito della Sua disquisizione circa il peregrinare di Ulisse, in quanto ammetto, ebbene sì, di appartenere a quel 99,9% (non periodico però e spiegherò il perché) di persone che ignora la lingua greca, moderna e soprattutto classica, non avendo purtroppo seguito studi umanistici ma scientifici, tuttavia mi permetto umilmente di farLe notare un elemento, che per onestà intellettuale, non può in alcun modo essere trascurato.

Sia ben chiaro, non ho alcuna intenzione di mettere in discussione la sua erudizione umanistica ne tanto meno imbastire polemiche sterili, ma evidentemente una qualche difficoltà con la matematica, mi spiace dirlo, la manifesta.

Vado subito al punto. Nel leggere il suo articolo, sono rimasto meravigliato che Lei abbia scritto: “pubblico composto al 99,9% periodico di illustri signori che non conoscono il greco classico” (il simbolo % non è presente nel testo pubblicato ma appare evidente che trattasi di refuso). La mia sorpresa ha una motivazione molto semplice:  nell’affermare quanto succitato, Lei ha commesso un clamoroso autogol alla Niccolai. Infatti, ciò che ha dichiarato, evidentemente in modo del tutto inconsapevole, è che il pubblico tutto ignora il greco classico, del quale purtroppo anche Lei fa parte, facendo così un grossolano errore.

Chiarisco meglio. Il 99,9% periodico, sebbene di non facile ed immediata intuizione, corrisponde esattamente, inconfutabilmente, con tanto di dimostrazione matematica, al 100% e quindi in questo caso alla totalità del pubblico.

Mi sono permesso di puntualizzare ciò senza alcuna volontà di scherno, ma solamente perché, come spesso da Lei affermato, nell’esprimere compiutamente ed in modo esatto un qualsivoglia concetto si rende necessario farlo nel massimo rigore che il linguaggio richiede, qualunque, naturale o formale, esso sia.

Certo che abbia colto lo spirito di questa mia, La saluto cordialmente.

Prof. Raffaele V.zo Micelotta

 

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TOUCHÉ

 Touché, caro professor Micelotta. Ahimè, sono stato colpito nel mio tallone di Achille, è giunta l’ora della mia Waterloo! Ovvero, tutti hanno scoperto che io non conosco bene la matematica! È vero, ah, è vero. Il mio ultimo rapporto dolce con la scienza dei numeri e annessi si verificò nel lontano 1963, esami di Terza Media, grazie ad un trapezio che, ruotando sulla base maggiore, faceva un cilindro e due coni. Giuro che svolsi il problema, e beccai otto. Poi, fu la fine... beh, no, ho capito benissimo come fece il mio affezionato Eratostene a calcolare il grado terrestre con la trigonometria. Il curioso è che di trigonometria astratta non ho mai saputo nulla! Che io l’abbia afferrata al volo in un esempio concreto, sono i misteri della mente umana. Chiedo scusa a Pitagora, Euclide, Archimede... Non ad Eratostene detto Beta, il quale, come me, era secondo in tutto e primo in niente; beh, io ho qualcosa di meno di lui: l’aritmetica.

 Tutto sommato, però, quella del 99,9 periodico voleva essere una trovata paradossale; e magari lo so pure io che il 9 periodico non finisce mai. Un paradosso, una battutaccia... Ma non mi sono spiegato bene. Peccato!

 Grazie però al cortese lettore, il quale non solo replica, ma, cosa abbastanza rara nelle sparuta schiera dei miei critici, firma: e ciò non fa d’onor poco argomento, direbbe padre Dante. Grazie del bell’esempio, e mi piacerebbe che altri lo seguissero.

Ulderico Nisticò

 

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